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Come cambia il lavoro dopo il Covid

Come cambiano lavoro e lavoratori

di Antonella Salvatore

Nell’era post Covid sono cambiate le dinamiche lavorative, i lavoratori e lo stesso lavoro.

Il fenomeno del great resignation

La pandemia e il lavoro da remoto hanno creato non pochi problemi di burn out, portando molti lavoratori a soffrire di ansia, stress, e depressione. Il fenomeno del great resignation, (grandi dimissioni), che ha colpito maggiormente le culture anglosassoni prima ancora che la nostra, ha portato in evidenza un disagio dei lavoratori, a tutti i livelli della scala gerarchica. Le dimissioni hanno riguardato gli impiegati junior, ma anche grandi dirigenti e figure senior.

Elevato turnover di personale

Il fenomeno delle grandi dimissioni comporta un turnover del personale che va tenuto sotto controllo. Un ricambio fisiologico delle risorse umane fa bene alle organizzazioni. Ma un eccessivo turnover crea incapacità di gestire i problemi, genera un costo eccessivo per le aziende, in termini di selezione e formazione. La difficoltà di trattenere i talenti non permette di mantenere in azienda conoscenza, competenze e network, a vantaggio della concorrenza. Per chi non lo avesse ancora capito, uno non vale uno. 

I lavoratori sono cambiati

I lavoratori sono cambiati dopo il Covid. Forse la parola più corretta da usare è consapevolezza. Impiegati, operai, direttori, hanno acquisito maggiore consapevolezza sul valore dell’ambiente di lavoro e del clima nella propria azienda. I rapporti con gli altri e con chi prende decisioni, sono elementi più importanti che mai. Proprio per questo le aziende più illuminate sono corse ai ripari creando reparti HR dedicati al welfare, ossia al benessere dei lavoratori e delle loro famiglie. Un modo intelligente per trattenere le risorse in azienda, (lo hanno capito anche i governi) per favorire la relazione tra datore di lavoro e gli stessi lavoratori.

Il futuro del lavoro

Se con la pandemia il lavoro da remoto ha preso sempre più piede, il lento ritorno alla socialità pre-covid, (unitamente al timore di veder crescere i costi delle bollette), spingono sempre di più i lavoratori a chiedere di ritornare, almeno in parte, a lavorare in presenza. Il futuro del lavoro sembra appartenere sempre di più al cosiddetto mondo ibrido, una soluzione che permette di combinare il lavoro in azienda e quello da remoto. Un recente report di McKinsey sostiene che il 90% delle aziende ritiene che il lavoro ibrido sarà il futuro.

Il lavoro da remoto ha ancora senso?

Ma sarebbe riduttivo dire che il lavoro da remoto sparirà con la fine del Covid e con il ritorno alla normalità del prezzo del gas in Europa. Il cosiddetto smart working consente di accorciare le distanze geografiche, di assumere persone in altre nazioni e continenti, di avere accesso, più rapidamente, a competenze mancanti. Avere un team internazionale nella propria azienda oggi rappresenta una realtà che solo qualche anno fa sembrava inimmaginabile per molti imprenditori. Inoltre, il lavoro da remoto permette l’inclusione e la multi-culturalità in luoghi di lavoro che fino a ieri guardavano solo al mercato domestico.

Le nuove competenze dei lavoratori

Ultimo, ma non ultimo, il post-pandemia ci pone di fronte ad un mondo completamente stravolto, dove sono richieste nuove competenze. La cosiddetta formazione continua diventa fondamentale per permettere agli stessi lavoratori di restare sul mercato del lavoro. Lo sviluppo delle skills digitali, la comprensione dell’impatto delle nuove tecnologie, l’attenzione per la sostenibilità, ma anche temi legati all’inclusione e alla diversità, sono argomenti fondamentali non solo per chi entra nel mondo del lavoro, ma anche per chi vi deve restare.

Foto di Luca Bravo su Unsplash

OCL

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