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Donne di Serie A

Donne Serie A

L’intervista a Livia Capparelli, 24 anni, giocatrice di calcio di serie A, con doppia laurea, una in Relazioni Internazionali e l’altra in Economia e Finanza

Ci sono tanti stereotipi di genere, in Italia e non solo. Il fatto che il calcio sia per uomini, e non per donne, è uno di questi.

Da bambina volevo fare la ginnasta, ma si trattava di uno sport troppo individuale. Mia madre però non voleva che io crescessi senza fare sport e per questo mi spinse ad iscrivermi alla scuola calcio dei miei fratelli. Pensavo di non poter giocare in una squadra di soli maschi, anche perché è quello che la società porta a credere già alle bambine di sei anni, prima ancora che loro sappiano cosa significhi essere maschio o femmina. I miei genitori mi hanno sempre fatto notare che a correre e saltare già ero brava esattamente come gli altri bambini, il pallone era solo un accessorio. L’ambiente lasciava spazio alla competizione ed ero piena di voglia di dimostrare a tutti, e a me stessa, che potevo fare quello che volevo, nonostante i pregiudizi intorno al mio ingresso nella scuola calcio maschile. Mi cambiavo da sola nei bagni. Sentivo che secondo alcuni non dovevo stare lì. Avvertivo la pressione che ogni errore sarebbe stato considerato come un “allora lo vedi che le femmine non possono giocare!” Ero sempre determinata a non alimentare questo pensiero. Così ho nutrito la mia competitività, che è stata fondamentale nel mio percorso per portarmi dove sono ora.

Tu sei una giocatrice di calcio professionista. Eppure, anche se giochi in serie A, il trattamento riservato a voi donne è completamente diverso da quello degli uomini. Cosa si può fare per portare parità di genere nel calcio? 

Il mercato sceglie quante risorse allocare al calcio femminile. Mi concentrerei più sull’aspetto sociale che su quello economico. Può piacere più il calcio rispetto alla pallavolo, è una questione di opinione. Quello che non può, e non deve accadere, è di porre limiti. Se una bambina vuole giocare a calcio, che ci giochi, se un bambino vuole fare pallavolo, che lo faccia. La discriminazione nello sport nasce dalla cultura della società. Per questo sono poche le tesserate di calcio femminile, anche se è uno sport molto popolare in Italia. La mia famiglia mi ha spinto oltre questi paletti sociali, ma spesso non è così. E come fa ad esserci un livello alto, magari anche più appetibile al pubblico, se le bambine sono scoraggiate dall’iniziare uno sport per cui hanno una passione? Oggi ci sono alcuni regolamenti che prevedono che una squadra professionistica maschile abbia un settore giovanile femminile. Serve cambiare la mentalità della popolazione, che deve smetterla di catalogare cosa le bambine e i bambini possono fare e non fare. Più scuole calcio accessibili alle femmine ci saranno e più crescerà il livello delle “grandi” nelle prime squadre. Raggiungendo obiettivi ambiziosi aumenterà anche la visibilità, si farà più diffusa la convinzione che anche le donne possono giocare a calcio ed essere brave. E che le calciatrici meritano rispetto come ogni altro atleta. Così, se ci sarà il desiderio, sarà normale che una bambina giochi a calcio, esattamente come un bambino. 

Siete arrivate in serie A, risultato che dimostra un grande lavoro di team

Nel calcio femminile fare squadra è la parola d’ordine. Con le compagne c’è sempre un legame fortissimo che si esprime meglio con la parola “solidarietà”. Ovviamente ci sono le dinamiche di una squadra di calcio qualunque, in particolare la competizione. Però essere calciatrice oggi significa aver lottato più o meno direttamente allo stesso modo contro i pregiudizi e le difficoltà che si incontrano. Se sei in Serie A, non sei solo “arrivata”, ma sei “arrivata nonostante tutto”. Ci si scopre simili e si riescono a creare grandi legami di solidarietà. Quest’anno la mia squadra si è salvata all’ultima giornata, dopo una grande rimonta nel girone di ritorno. Un fantastico traguardo per tutte, che ha mostrato compattezza e determinazione verso quell’obiettivo. Se la prima parte del campionato poteva essere caratterizzata da una qualche difficoltà di coesione all’interno del gruppo, forse dovuta all’arrivo di più di 15 giocatrici nuove nella rosa, nel momento di difficoltà ci siamo unite. Solo in quei momenti si capisce se si è squadra oppure no. Noi, il Napoli femminile, lo siamo. 

Cosa diresti a una bambina interessata al mondo del calcio?

Di essere orgogliosa di questa passione e di non nascondersi. Il calcio insegna a tutti qualcosa sulla vita: resilienza, determinazione, diligenza. Questo sport aiuta ad affrontare la vita a testa alta, con occhi di sfida, senza mai rinunciare a quello che ti rende felice, indipendentemente dalle opinioni altrui. Le direi di fare quello che sente e non lasciarsi intimidire dal mondo.

OCL

2 thoughts on “Donne di Serie A

  1. Per secoli le donne hanno dovuto lavorare e impegnarsi il doppio degli uomini per affermare, di fronte alla Storia, di essere capaci di raggiungere tutti gli obiettivi. Il mondo dello sport non fa eccezione. Ma, se Dio vuole, le giovani generazioni attueranno rivoluzioni pacifiche con l’esempio orgoglioso e caparbio del loro impegno. Forza Donne!

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