
Il coronavirus ha già cambiato per sempre le vite di tutti noi, quella personale così come quella professionale. Ciò che emerge ogni giorno più chiaramente è che da ora in avanti nulla sarà più lo stesso, dovremo ripensare a quello che facciamo e a come lo facciamo.
La vittoria della tecnologia
La tecnologia entra a gamba tesa in questa guerra con l’umano e vince senza alcuna ombra di dubbio. L’istruzione costretta a fermarsi e a ripensare alla modalità di erogazione delle classi. Incontri annullati e persone che fanno riunioni su Microsoft Teams, Zoom o altro ancora. Il commercio al dettaglio che riempie i propri magazzini e organizza i propri siti web per consentire di acquistare online, mentre gli scaffali dei negozi restano vuoti. Le imprese che devono ripensare il lavoro e favorire lo smart working da casa.
L’angoscia per un nemico invisibile
Che cosa spaventa di più di questo virus, tolta la paura del contagio?Sicuramente le persone hanno paura degli effetti sull’economia, sul grave impatto che questo virus avrà su un paese che non è mai entrato nella vera fase di espansione. Mettiamola così. La nostra economia era una malata di in via di guarigione, con un sistema immunitario ancora debole, quando è stata colpita violentemente da covid-19. Ma quello che spaventa di più tutti noi è innanzitutto avere a che fare con un nemico invisibile. Mio padre ha vissuto la seconda guerra mondiale con l’angoscia che i nazisti potessero entrare in casa e catturare lui e i suoi fratelli, e per questo scappava nei rifugi quando le camionette naziste venivano avvistate. Io, e con me l’Italia intera, ho angoscia come l’aveva mio padre: ma a differenza sua non sono in grado di avvistare il nemico e di riconoscerlo.
Il futuro che facciamo fatica a vedere
L’Italia si è fermata, e non intendo solo fisicamente o con la sua economia. Ci siamo fermati in attesa di sapere o capire cosa fare e come farla. Anche gli studi professionali o le aziende che potrebbero lavorare non lavorano, anche quelli che potrebbero incontrarsi non si incontrano e coloro che potrebbero viaggiare non viaggiano. Certo, è innanzitutto il timore del contagio. Ma è anche, e soprattutto, l’angoscia di capire come andrà a finire, di un futuro che facciamo fatica a vedere, che oggi non sappiamo dire come sarà. È la paura di qualcosa che abbiamo il timore di conoscere, e al quale dovremo abituarci, la paura di cambiare e dover ripensare tutto, o quasi tutto. “Proprio ora, proprio adesso che le cose sembravano andare bene”, abbiamo pensato in tanti.
La mancanza dell’umano
Oggi la tecnologia ha sconfitto l’umano e ci ha obbligati alla distanza di due metri, a non baciarci né abbracciarci. Decine di milioni di persone, che fino a ieri trascuravano amici e familiari e passavano il tempo a guardare uno schermo, oggi si accorgono di avere bisogno del contatto umano, quel contatto che non è più possibile, lo dice persino un decreto del governo. Il paradosso? Quando stiamo male la nostra famiglia ci accudisce; al contrario, nel caso di Covid-19, i nostri cari devono essere allontanati, e noi siamo messi in quarantena, soli in una lotta contro il nemico invisibile. Il coronavirus ci ha fatto scoprire la solitudine, e il timore che questo possa essere lo stato d’animo del futuro ci angoscia. Per questo, oltre che per la incapacità di rispettare le regole, le persone fuggono dalla zona rossa. Hanno paura dell’isolamento.
Sopravvive chi si adatta
Ci siamo riempiti la bocca di parole come team, networking, relazioni, le persone prima delle macchine, ma oggi è come se non esistessero più. Avevamo definito noi stessi dentro confini reali, pensando che saremmo stati in grado di battere la tecnologia. Ora, un nemico invisibile all’occhio umano, ci obbliga a ridefinire i nostri confini e a entrare prepotentemente nel virtuale, mettendo da parte (chissà per quanto tempo), tutto ciò che è reale.
Ecco cos’ è il coronavirus.
La solitudine del reale, la vittoria del virtuale e il timore di non farcela se non saremo capaci di adattarci.
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