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Fiere d’arte, opportunità e sfide

Fiere arte mostre

Intervista a Maria Gracia de Pedro

di Giosuè Prezioso (Coordinatore accademico e Associate Professor presso la Florence University of the Arts)

Basilea, New York, Parigi, Seoul e si potrebbe continuare a lungo. Questa è infatti solo l’inizio di una lunga e crescente catena di città che ospitano una vecchia e ormai irrefrenabile pratica che non ha bandiera: le fiere d’arte. “Nel 1970,” spiega Ed Winckelman – noto affarista d’arte – “vi erano solo tre grandi eventi: Colonia, Basilea e Bruxelles”. Per passare poi, continua Winckelman, a “68 nel 2005, 189 nel 2011 e quasi 300 nel 2014.” Poco si sa di quanto è accaduto nell’ultimo lustro, ma in considerazione del trend 2005-2011, dove il numero di fiere in sei anni è quasi triplicato, si potrebbe osare che, fra qualche anno il numero di eventi potrebbe avvicinarsi alle 1000 unità. Il fenomeno sembra così inarrestabile che in un articolo di Forbes la giornalista Mun-Delsalle nota che “con la globalizzazione del mercato dell’arte, il numero di fiere è esploso, e ora ogni città vuole [proporne una].” Nonostante la chiusura positiva del 2018 – annus mirabilis per il mercato dell’arte, in crescita del 6% rispetto al 2017 – gli equilibri che regolano questo mercato sono delicati. È difficile comprendere i vantaggi e le sfide che questo ritmato sistema di partorienza commerciale potrebbe avere sul sistema mercato. Per intercettare qualche vibrazione dall’interno, intervistiamo María Gracia de Pedro, giovane, dinamica, entusiasta gallerista e ricercatrice spagnola a direzione di Josédelafuente (Santander).

María, raccontaci perché, come e con quali strategie si decide di partecipare ad una fiera d’arte.

«Il fenomeno di fiere d’arte a cui fai riferimento è collegato ad un altro ‘boom’. Quello del numero di gallerie che, per internazionalizzare il proprio progetto espositivo, partecipano a fiere d’arte internazionali. Innescano quindi un vorticoso fenomeno di crescita che sta raggiungendo il volume di cui parli. Le ragioni della partecipazione a questi eventi vanno ricercate nel bisogno di far vedere i propri artisti in luoghi diversi, dove le imprese riescono a trovare nuovi clienti, o dove si consolidano legami preesistenti. Esportare un progetto espositivo è sicuramente un’idea allettante, ma rischiosa allo stesso tempo. Questo soprattutto se si tratta di partecipare ad una fiera dove non ci sono ancora clienti sicuri e dove gli artisti presentati non hanno nessun legame con il territorio (mostre, collaborazioni, ecc.), dovendo quindi presentarsi e avviare una scena-mercato».

Nelle numerose partecipazioni internazionali, quali cambiamenti – logistici, curatoriali, concettuali e commerciali – hai notato negli ultimi anni?

«Per la nostra galleria è fondamentale avere un concetto di base che accomuni sempre gli artisti che presentiamo. Un filo narrativo che abbia una sua logica e che coinvolga i visitatori in un’esperienza mai meramente fieristica. Una vera e propria immersione estetica e concettuale che ricordi una mostra. Noi vogliamo dunque cercare di offrire al visitatore un pretesto per venirci a vedere, per ricordarci, al di là del fatto che ci siano le opere del proprio artista preferito. Personalmente trovo che negli ultimi dieci anni le fiere abbiano alzato il livello curatoriale. Si tenta di evitare proposte più commerciali per avvicinarsi a progetti che ricordano ‘mostre collettive’ o ‘biennali’ – oserei. Fiere come Dama (Torino), Art-O-Rama (Marsiglia), o Loop (Barcellona) prevedono delle condizioni di partecipazione ragionate. Ogni galleria, infatti, può partecipare con un unico artista. Approcci come questi ci permettono di andare più in profondità, verso una pratica artistica che genera una vera e propria mostra. Ci si allontana dall’anima meramente commerciale dell’evento, che è sì centrale, ma altresì periferica».

Cosa credi si possa riconoscere a questi eventi e cosa, invece, sia auspicabile cambiare?

«L’unione fa la forza! Senza dubbi la concentrazione di tante gallerie determina il movimento di un grande volume di persone, cose, capitali e relazioni, che genera un mercato – o perlomeno un appuntamento -immancabile per chi ha interessi per l’arte, così come una rete di collaborazioni di diversa natura. Sono spesso le fiere stesse a invitare i collezionisti. Ogni galleria sa che una fiera è una grande occasione per potere espandere la rete di contatti e il range di vendite. Se dovessi pensare a qualche miglioria per il sistema fiere proporrei diverse maniere di avvicinare le stesse ad un pubblico più ampio. Credo che quest’ultimo trovi ancora ostico l’approccio a fiere e gallerie, a volte a causa dall’arte stessa, spesso incomprensibile e distante. Questo avvicinamento potrebbe portare allo sbocciare di diverse connessioni – per giovani artisti, per esempio, che potrebbero trovare committenti interessati alla loro crescita».

Quali opportunità e/o sfide potrebbe portare questo fenomeno dell’esplosione delle fiere d’arte?

«Anche se i vantaggi di partecipare alle fiere sono innumerevoli, a volte la cosa può sfuggire di mano e il tutto può diventare estenuante. Il processo di selezione in sé diventa sempre più difficile. Ci si trova costretti a fare domanda continuamente per espandere il curriculum della galleria – anche se non sempre funziona economicamente. Senza sapere se questa è una bolla che esploderà definitivamente né, nel caso in cui succeda, cosa ci sarà dopo. Sono sicura che le fiere saranno sempre per noi, amanti dell’arte, un punto di incontro. Non solo per trovare agenti del mercato, ma anche per scoprire nuovi artisti, ispirarsi e sognare».

Foto di Matheus Viana da Pexels

OCL

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