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Si può vivere con la cultura?

cultura Favara

di Leonida Valeri

Si può vivere con la cultura, generando sviluppo? La risposta è in un piccolo comune del sud Italia, fino a qualche tempo fa sconosciuto ai più. È la storia di Favara, 32mila abitanti nell’entroterra di Agrigento, e di una famiglia – Andrea Bartoli, notaio, sua moglie Florinda Saieva e le bimbe Carla e Viola, ora di 14 e 10 anni – che ha deciso di cominciare lì, dove invece chi può, se ne va. È la storia del Farm Cultural Park di Favara, creato 10 anni fa – era il 25 giugno del 2010 – in un cortile di matrice araba costituito da sette corti e poche case diroccate, nel centro storico degradato del piccolo comune siciliano. Ora lo spicchio urbano è diventato un centro di attrazione culturale, di cui all’estero si parla e che piano piano si sta allargando. E dietro l’angolo c’è un grande progetto di sviluppo che coinvolge una fetta di Sicilia. Ma andiamo con ordine, riavvolgendo velocemente il nastro. Ne parliamo con Florinda Saieva, originaria proprio di Favara.


Tutto partì da un soggiorno a Parigi…

«Io, mio marito e la nostra prima figlia, Carla, viaggiavamo molto. Eravamo nella capitale francese, incerti se trasferirci definitivamente e far frequentare lì, le scuole alla bimba. Mio marito, però, non poteva abbandonare la sua attività in Sicilia, rischiava di fare il pendolare. Decidemmo di tornare a Favara e costruire qualcosa di nuovo che fungesse da centro attrattore, basato sulla cultura. Intendevamo ribaltare la situazione: non dovevano essere i favaresi a cercare affermazione professionale nel mondo, ma volevamo che fosse il mondo a bussare alla porta di Favara. Così abbiamo acquisito e ristrutturato alcuni immobili all’interno del cortile Bentivegna, in una porzione di centro storico ormai in rovina, con un piccolo investimento economico, poca cosa, creando il Farm Cultural Park, uno spazio culturale diffuso».

Cosa accade nel Farm Cultural Park?

«Organizziamo mostre d’arte, laboratori di architettura per bambini, workshop, presentazioni di libri, percorsi formativi per i giovani. Nel cortile sono state realizzate anche residenze per artisti. E ci stiamo allargando: prendendo in uso due palazzi storici, Micciché e Cafisi, abbiamo organizzato la Biennale delle città del mondo, “Countless cities”, conclusasi lo scorso ottobre».

Esportate le vostre iniziative anche in altre città italiane?

«Sì. Dal 9 al 13 dicembre saremo a Roma con il progetto “P.ARCH Playground per architetti di comunità”, nato per contrastare il crescente livello di povertà educativa tra i giovani delle scuole primarie e secondarie del Lazio e della Sicilia. Nella capitale lavoreremo con i bambini di un istituto di Primavalle. Il 14 dicembre concluderemo il percorso di Prime Minister, una “scuola di politica” per giovani donne dai 13 ai 19 anni, con la presenza dell’ambasciatore britannico. A gennaio l’iniziativa sarà avviata a Napoli. Inoltre, con le nostre ragazze a gennaio ci sposteremo a Roma, ospiti dell’Ambasciata americana. Potrei continuare a lungo».

Torniamo a Favara, il cortile Bentivegna è aperto tutto l’anno?

«In questo momento solo su richiesta, perché stiamo effettuando dei lavori di ammodernamento. Riaprirà a marzo, e il ticket d’ingresso sarà sempre di 6 euro. Per ora con le entrate riusciamo a sostenere il progetto per il 50 per cento. Ma c’è la soddisfazione di due privati che sono riusciti a dare una scossa a un territorio dove i giovani non avevano nulla da fare, né prospettive. Quando abbiamo cominciato, a Favara c’erano 19 posti letto. Ora sono 250. Com’è logico, attorno al Farm Cultural Park, che attrae professionisti e curiosi da tutto il mondo, sbocciano attività e strutture ricettive. Nascono posti di lavoro».

I programmi per il futuro?

«Una spa intitolata “Società per azioni Buone”, un’impresa sociale che partirà la notte di Natale, con la quale cercheremo di convogliare le intelligenze e le risorse dei cittadini. I favaresi potranno investire in essa: una azione costa mille euro. Intendiamo creare una regia di sviluppo del territorio attorno a Favara, includendo la valle dei Templi e mettendo in rete tante realtà ora isolate. Il tutto partendo dalla cultura; perché tramite essa, come abbiamo già dimostrato, è possibile migliorare la qualità della vita, dei servizi, dell’abitare e del lavorare. In due parole: generare sviluppo».

Ed ecco che abbiamo risposto alla domanda iniziale. Da Favara è tutto. Per ora.

OCL

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