
Quanto accaduto a Venezia è solo l’ultimo caso in ordine di tempo, la dolorosa ed evidente punta dell’iceberg. Ma il dramma italiano, andando a scovare il fondo del problema, è culturale e morale. Il rispetto delle regole e delle tempistiche, l’attenzione per la res pubblica sono valori fondamentali che troppo spesso vengono a mancare.
Opere incompiute
Primi per dissesto idrogeologico in Europa, spendiamo miliardi di euro in opere che faticano a essere completate. Alcuni lavori sembra non abbiano mai conclusione. Ci sono nazioni con problematiche più pressanti delle nostre. Pensiamo all’Olanda, cresciuta e sviluppatasi sotto al livello del mare del Nord (di gran lunga più «aggressivo» del nostro Adriatico), dove le opere sono realizzate, e bene, nei tempi previsti. E dire che furono gli antichi romani a insegnare al mondo allora conosciuto come si costruisce sull’acqua. E ancora. Secondo i dati del Ministero abbiamo ricevuto un miliardo e 600 milioni di euro dalla Ue per contrastare il rischio idrogeologico, ma abbiamo utilizzato solo il 20% della cifra. Riceviamo fondi ma li usiamo solo in parte, come mai?
Il patrimonio in abbandono e degrado
I terremoti che subiamo, neppure paragonabili a quelli che scuotono quotidianamente il Giappone, continuano a mietere vittime. Intere porzioni di territorio sono sospese come in un limbo, a metà strada fra l’attesa dei fondi pubblici, con il concreto intervento a favore delle popolazioni, e il desiderio di ricominciare. Abbiamo il patrimonio storico-artistico più importante del mondo. Con una caratteristica di grande interesse che viene quasi mai ricordata: l’Italia è l’unica nazione a possedere beni di valore che abbracciano tutte le epoche storiche. Tutte. Eppure, lo stato di degrado generale è sotto agli occhi di tutti. Stiamo mandando al macero ciò che abbiamo ereditato. L’Istat dice che 750mila strutture risultano in condizioni di abbandono. Il Cescat (Centro studi casa ambiente territorio) affonda il coltello e alza la stima: sarebbero oltre due milioni. Aggiungiamo, per chiudere il cerchio, il numero elevatissimo di opere pubbliche incompiute che continuano a fagocitare denaro.
Ultimi in Europa per investimenti in istruzione.
Ma prima che di «tragici imprevisti» riguardanti la salvaguardia del territorio e del nostro patrimonio, prima che di dissesto idrogeologico bisognerebbe cominciare a parlare di emergenza culturale e morale. Qui sta il nodo della questione. È necessario ripartire dalla scuola, dall’istruzione. E dalle nuove generazioni. Già, perché i modelli premianti offerti ai giovani continuano a essere, da anni, quelli della furbizia, dell’inosservanza delle regole, dell’inutilità della competenza e del merito. Modelli perdenti. Urge invertire il trend, prendendo esempio dalle nazioni più virtuose. Da troppo tempo continuiamo a rimandare l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole. L’importanza dei diritti e dei doveri sembrano appartenere a un’epoca lontana. Gli investimenti nel settore dell’istruzione sono scesi negli ultimi anni: siamo fanalino di coda in Europa, con appena il 3,9% messo in cantiere, contro una media Ue del 5%, e punte che superano il 7% di alcune nazioni del Nord.
Il merito che non c’è
La meritocrazia è una parola spesso abusata nel nostro Paese; rappresenta un valore poco praticato. Ma, a ben guardare, non vi sono altri parametri, se non quelli di ricorrere al riconoscimento della competenza e del merito, per risalire. E, fuor di metafora, per superare quelle che colpevolmente abbiamo fatto diventare emergenze, in tutti i settori. La questione, per tornare all’incipit, è innanzitutto culturale e morale.
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