
Formazione, i giovani italiani sono meno preparati di quelli europei
I giovani italiani riscontrano difficoltà quando sono alla ricerca di un lavoro mentre l’Italia registra una situazione non brillante. «Il tasso di occupazione (25-29 anni) – si legge nel Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, realizzato da Fondazione Leone Moressa – è del 54,6%. Oltre 20 punti in meno rispetto alla media dell’Unione europea. La disoccupazione per la stessa fascia d’età è al 19,7% (media Unione europea 9,2%)». Questi dati fotografano una realtà sociale preoccupante ed è necessario intervenire al più presto, per invertire questo trend negativo che interessa esclusivamente i giovani. Lasciare il paese per trovare quelle nuove opportunità professionali all’estero resta la soluzione più conveniente, altrimenti il rischio è rimanere senza un lavoro. Ogni anno assistiamo a partenze di oltre novantamila under 35, molti di loro non hanno buone prospettive di ritornare in Italia. A complicare la situazione occupazionale dei giovani c’è l’invecchiamento demografico che avrà nei prossimi anni un impatto sempre più significativo sulla forza lavoro. Conviene conoscere gli scenari sociali dei giovani in Italia e in Europa, facendo un’analisi adeguata proprio per offrire opportune risposte alle necessità impellenti presenti in questo momento storico. «Nell’Unione europea – si legge più dettagliatamente nel Rapporto – ci sono quasi 65 milioni di giovani tra i 25 e i 34 anni che rappresentano il 12,6% del totale della popolazione. In Italia vivono 6,6% milioni di giovani, corrispondenti all’11% della popolazione totale». Non può sfuggire la criticità del settore occupazionale dei giovani anche se la politica non riesce a dare risposte adeguate. «Nell’Unione europea – si legge ancora nel Rapporto – i lavoratori giovani sono 49 milioni rappresentando il 22% del totale degli occupati, e tra questi l’11% è immigrato. In Italia, i lavoratori giovani sono 4 milioni, pari al 18% degli occupati totali. Se in Europa 77 giovani su 100 lavorano, in Italia solo 62 su 100 riesce a lavorare. Il tasso di disoccupazione dei giovani in questa fascia d’età (25-34 anni) è il doppio (16) rispetto a quello europeo (8)». I giovani sono la ricchezza di una nazione perché al termine degli studi entrano nel tessuto produttivo e cominciano a immaginare il futuro mediante la creatività, le idee, la voglia di affermarsi nel comparto economico. Soltanto la nuova generazione resta l’assoluta protagonista della società perché lavora, riproduce la forza lavoro, delinea nuove prospettive economiche suggerendo sfide e competizioni.
La differente preparazione accademica
Sono le diverse situazioni registrate nella preparazione accademica tra i giovani italiani e quelli europei a caratterizzare quelle differenze sostanziali nel mondo dell’occupazione. Questa situazione non favorisce i ragazzi italiani e diventa uno spartiacque nelle posizioni professionali ricoperte dalle nuove generazioni. «Un dato fondamentale – si legge nel Rapporto – pone in evidenza la minore preparazione dei giovani in Italia. Il 30% è laureato contro il 44% della media dell’Unione europea. Sfiora il 21% la platea dei giovani che possiedono solo il titolo di scuola media, mentre la media europea si ferma al 12%. Questa scarto scolastico-formativo è confermato anche dall’Istat. Le persone che hanno completato un’istruzione terziaria (università e altri percorsi equivalenti) sono state il 26,9%, una percentuale ancora distante dalla media europea (39,9%). Tra i paesi dell’Unione europea in Romania il valore è inferiore (26,3%)». La bassa istruzione registrata nei giovani italiani rispetto ai giovani dell’Unione europea evidenzia un’ineluttabile conseguenza. «Nelle professioni qualificate e tecniche – si legge nel Rapporto – troviamo il 10% in meno di giovani rispetto alla media europea. Mentre è maggiore la percentuale di giovani nel personale non qualificato (10,6% contro il 7,5% europeo)».
Il mancato dialogo tra formazione e lavoro
La frequente assenza di dialogo tra il mondo della formazione e quello del lavoro non agevola il processo di selezione e di individuazione. E non permette scambi professionali di proficuo interesse per l’impresa e per i giovani. «Il gap tra mondo della formazione e mondo del lavoro – commenta Patrizia Groppo, CEO YouAbroad – è un tema complesso. Ha assunto dimensioni considerevoli con l’aumento del numero di ragazzi che proseguono gli studi universitari. Chi fa scuola, ad ogni livello, difficilmente ha avuto la possibilità di vivere le esigenze di un’azienda, fosse anche solo da un punto di vista delle risorse umane. Viceversa, gli imprenditori e i manager delle aziende, hanno rare occasioni di contribuire alla definizione dei curriculum scolastici e alla pianificazione della formazione nella scuola italiana. La contaminazione si rende quindi indispensabile fin dalla fase di progettazione dei programmi formativi. Necessario invitare le aziende italiane a partecipare a momenti di formazione in aula agevolando il passaggio di uno studente dalla scuola all’azienda. Lavorare congiuntamente sulle best practice diventa imprescindibile, supportando i ragazzi che scelgono di affrontare esperienze arricchenti e complementari rispetto alla scuola italiana, vivendo e studiando magari all’estero per un certo periodo di tempo, per ritornare in Italia con nuove competenze linguistico-culturali da investire nel mondo del lavoro.
Lo sviluppo delle competenze
È altrettanto doveroso che i giovani siano positivamente preoccupati di valorizzare il proprio profilo, arricchendolo con esperienze concrete che sviluppino le capacità di problem solving, lavoro in team e innovazione, oltre alla padronanza della lingua inglese. Skill preziose che ogni azienda ricerca ed è disposta a valorizzare. Si crea in questo senso una spirale positiva. L’impresa riconosce il differenziale di un giovane talentuoso che ha investito energie non soltanto per studiare, ma anche per curare la propria preparazione tecnica, linguistica e culturale».
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