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Arte, la prima mostra dell’effettismo

arte effettismo

Intervista a Francesca Romana Fragale, leader del movimento

di Leonida Valeri

«Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole». La definizione di Pablo Picasso potrebbe essere presa in prestito per l’Effettismo, il movimento sorto a Roma e fondato dal maestro Franco Fragale – ingegnere, autore di un manuale di tecniche pittoriche – a cui hanno aderito diversi artisti e che sta per essere presentato ufficialmente nel corso di una grande mostra. Il maestro Fragale, che esponeva le sue opere in via Margutta (un suo quadro, tra l’altro, è alla Galleria nazionale di Arte moderna) è scomparso nel 2014. Ora i pennelli – potremmo dire – sono stati presi in mano da una delle sue figlie, Francesca Romana, vicepresidente dell’Accademia internazionale di arte moderna, metà vita trascorsa da avvocato penalista (con la passione per la pittura), e l’altra metà, avendo appeso la toga, a ripercorrere le orme professionali del papà. Ne parliamo con lei, nel suo atelier-scuola di disegno del quartiere Prati, di fronte ai bastioni del Vaticano.

Nei momenti di crisi, l’arte è la riposta, così si dice.

«Sì, sono d’accordo. L’armonia, il bello, le sensazioni e i pensieri positivi generati da un’opera sono la risposta, anche nei momenti più bui. L’arte indica sempre una via d’uscita. Sempre. In questa ottica, l’Effettismo, il nostro movimento, nasce come reazione alla crisi economica e all’assopimento delle coscienze di fronte all’inquietante grigiore sociale e al vuoto dei valori. Noi, lo voglio sottolineare, nutriamo fiducia nel futuro».

L’Effettismo, cos’è e perché questo nome?

«Il nome deriva da ciò in cui credeva mio padre, Franco Fragale, che fondò il movimento mettendo in relazione lo scambio di emozioni che dovrebbe esistere fra un’opera e il suo osservatore. Il dipinto, con i suoi “effetti” creati dal tocco dell’artista, è chiamato a generare empatia e stupore, qualcosa di speciale nell’animo. Ergo, può essere figurativo, ma anche astratto, o appartenere alla cosiddetta street art. Noi ci riconosciamo nelle ricerche di Jean Pierre Changeux, professore di neuroscienze dell’Istituto Pasteur di Parigi, che ha studiato la relazione tra arte e cervello umano. L’opera – dice – deve colpire entrambi gli emisferi del cervello: il destro, ossia l’emozione, quanto il sinistro, ossia la ragione».

Il vostro movimento rifiuta la moderna tecnologia.

«Proprio così. L’Effettismo è la prima corrente pittorica sorta dopo l’abuso della tecnologia digitale nel settore artistico. È un fatto importante e storico, direi. Noi rifiutiamo il ricorso al computer e a qualsiasi diavoleria che possa imbrigliare o inficiare l’ispirazione e l’originalità. Ci battiamo, ad esempio, contro l’arte prestampata usata per arredare. Utilizziamo, invece, gli strumenti dei grandi pittori del passato, ma aggiornati, penso ai colori acrilici e non solo. L’innovazione nel solco della tradizione, questo è il nostro motto. Che renderemo noto nel corso di una esposizione».

Bene, a quando il vernissage?

«Stiamo concentrando i nostri sforzi con l’obiettivo di organizzare, per il mese di novembre, una grande uscita pubblica, nel corso della quale daremo massima diffusione al nostro manifesto d’intenti, che ho contribuito a redigere, e mostreremo le migliori opere effettiste. Ha aderito al movimento ed esibirà i suoi quadri anche José Dalí, credo sia il caso di evidenziarlo».

Dove si terrà l’esposizione?

«A Roma, in un luogo che ancora non voglio rivelare, ma comunque nel centro storico, questo posso dirlo».

OCL

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