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Centri per il (NON) impiego

di Massimiliano La Rocca, dottore commercialista

Lavoro e disoccupati

In Italia la ricerca di lavoro, sia in termini di offerta dei potenziali lavoratori, sia in termini di domanda dei potenziali datori di lavoro, è uno dei principali argomenti di dibattito pre-elettorale, soprattutto in periodi di alta disoccupazione come quello attuale. Un argomento che riguarda almeno il 10%-15% del potenziale elettorato. Una volta al Governo, i vincitori attuano diverse politiche per il lavoro. Spesso, o praticamente sempre, riorganizzano (o tentano di farlo) il funzionamento, i poteri e gli strumenti dei principali uffici pubblici preposti alla intermediazione di lavoro, vale a dire i Centri per l’Impiego Territoriali (ex uffici di collocamento), con risultati che definire scarsi è spesso un eufemismo.

Come si cerca lavoro in Italia?

In una recente indagine l’ISTAT ha fornito numeri impietosi sulla ricerca di lavoro nel nostro paese. Si legge infatti che “La ricerca di lavoro è stata prevalentemente affidata a canali di natura informale: l’87,3% delle persone in cerca di lavoro si è rivolto a parenti, amici e conoscenti”, oppure con sistemi alternativi come “l’invio di un curriculum vitae (70,3%) e la consultazione di Internet (59,8%)”. Mentre ai Centri Impiego “si è rivolto in media circa un quarto delle persone in cerca di lavoro (24,2%). Il ricorso ai Cpi [Centro per l’Impiego, n.d.r.] è cresciuto durante la crisi (fino a toccare il 31,6% nel 2012), per poi ridiscendere negli anni successivi” dimostrando la scarsissima fiducia dei disoccupati nell’efficacia di tali uffici. Scorrendo il rapporto, ancor peggiore è il dato sui canali con i quali i disoccupati hanno trovato un impiego. “Il contatto con amici e parenti (40,7%)”, oppure “l’essersi rivolto direttamente al datore di lavoro (17,4%)” mentre è significativo il fatto che “il ricorso al Cpi è stato ritenuto utile solamente dal 2,4% degli intervistati”.

Quanto sono utili i Centri per l’impiego?

Gli impiegati dei Centri per l’Impiego in Italia sono circa 8mila (contro i 47mila della Francia e i 110mila della Germania), e gestiscono di fatto (o dovrebbero gestire, almeno in teoria) la ricerca di lavoro di circa 3 milioni di disoccupati. E’ evidente che le promesse elettorali nel corso degli anni non sono state tradotte in spesa pubblica per aumentare risorse (umane e non) di questi uffici, spesso ai margini e lasciati “a se stessi”, dipendenti dalle Direzioni Provinciali del Ministero del Lavoro. Moltissimi utenti o potenziali tali, e in genere moltissimi cittadini, ritengono infatti che si tratti più che altro di uffici inutili e per tale motivo non vi si rivolgono. Questa “credenza popolare”, ormai tragicamente diffusa anche riguardo altri uffici pubblici che trattano diritti dei cittadini altrettanto importanti (ASL e ospedali, scuola, ecc.), è una delle cause del mancato impiego di fondi pubblici da parte dei Governi.

Quando il pubblico non funziona…

Quando il cittadino si rivolge altrove, utilizzando canali alternativi al pubblico per ottenere servizi, o meglio diritti (inopinatamente Costituzionali) come lavoro, sanità, istruzione, i Governi potrebbero non avere l’interesse ad investire seriamente. Questo perché si tratterebbe di investimenti lungo termine, e nel breve periodo non porterebbero consensi. Sempre più quale esempio da imitare viene indicato il modello degli uffici del lavoro degli Stati Uniti D’America, che fin dal 1998 hanno introdotto e mantenuto in funzione un sistema virtuoso (il Workforce Investment Act o WIA, di cui trovate un interessante riassunto qui: modello che sembrerebbe ispirare le soluzioni cercate, ma finora inattuate, dei Governi italiani che si sono succeduti. Proprio nelle ultime elezioni abbiamo avuto l’ennesima promessa di riforma dei Centri per l’Impiego, in occasione della gestione del Reddito di Cittadinanza loro affidata, ma ad oggi nulla è ancora avvenuto. Il prossimo passo sarà l’assunzione di 3.000 navigator per orientare i disoccupati e poi si vedrà. La attuale e triste realtà, che ci auguriamo cambi, è che gli investimenti per il lavoro sono sempre stati scarsi o nulli. Di conseguenza, questo ha reso molto poco credibile, e spesso inaffidabile, il sistema di collocamento pubblico (ormai addirittura giudicato tale a priori, prima ancora di tentare di utilizzarlo), a vantaggio del proliferare spesso incontrollato di soggetti privati come agenzie di ricerca o interinali (oggi di somministrazione), cooperative di servizi e di produzione e lavoro, o addirittura app per smartphone. Anche quando tali strumenti siano professionali e seri, efficaci ed efficienti, regolari e legali, i loro promotori o titolari li utilizzano per lucrare (giustamente, avendo natura ma soprattutto scopi privati) sulla ricerca di lavoro.

Il collocamento e il guadagno per lo Stato

Da un punto di vista di collocamento in ambito lavorativo, gli organismi pubblici hanno perso negli ultimi decenni quella credibilità che dovrebbe essere propria del pubblico, ossia dello Stato. Eppure, nel caso di collocamento degli individui, proprio lo Stato è l’unico vero Intermediario che avrebbe dei guadagni enormi, diretti e indiretti, in termini di PIL, spesa pubblica, risorse (anche solo per contributi e imposte sul reddito di lavoro che pagherebbero i nuovi dipendenti e i loro datori di lavoro).

OCL

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