
di Massimiliano La Rocca, Dottore Commercialista
Benedetta sia benedetta
È vero, ha ragione Benedetta, potete leggere qui: https://www.corriere.it/economia/lavoro/19_aprile_10/sono-ricca-giovane-colta-infelice-colpa-anche-vostra-19d3183c-5a1a-11e9-9773-c990cfb7393b.shtml?refresh_ce-cp E allora, Benedetta sia benedetta, se finalmente qualcuno dal basso (dell’età) di una ventitreenne ci riporta in basso (a quando avevamo quell’età).
Giovani e posti di lavoro
Finalmente, una giovane ha il coraggio di essere più adulta di noi “adulti”, a costo di pagare un prezzo folle. Non poter vivere la passione di un’età così importante, non poter vivere inconsciamente i sogni e le speranze di chi si affaccia sul mondo del lavoro rimbalzando di qua e di là tra un “manda curriculum in giro” e un “chiedo a tizio se ha un amico che conosce un tipo che lavora per l’autista del vice-direttore della società partner della compagnia …”. La verità vera che ci racconta Benedetta è strettamente legata al sistema lavorativo italiano, diverso dagli altri Paesi (occidentali e non) e con peculiarità uniche al mondo. Un sistema basato sulla totale mancanza di fiducia negli altri, sulla scarsa capacità di noi datori di lavoro di affidarci e di fidarci, con un solo dogma: “chi fa da sé fa per tre”.
Non si assume per migliorare la qualità dei nostri prodotti o servizi, ma solo quando da soli non ce la facciamo più.
Non si assume per creare valore aggiunto, ma per mettere toppe a ordini e richieste dei clienti che da soli non riusciamo a gestire. Si assume lamentandoci in partenza del fatto di esservi costretti, ma che “fosse per me li caccerei tutti”.Nessuno di noi “datori di lavoro” si chiede mai cosa potremmo ottenere se mettessimo a frutto le capacità dei nostri “dipendenti” o “collaboratori”. Anzi spesso ci chiediamo “ma perché, quali capacità avrebbe?”, eppure li abbiamo assunti noi.
Il problema nella selezione dei candidati
Il problema è a monte: quando selezioniamo il personale, o ancor prima, quando decidiamo di cercare qualcuno da assumere, forse dovremmo farlo pensando fin da subito a cosa potremmo dare noi a loro, oltre al “salario stracciato” di cui parla Benedetta, a cosa saremo disposti a offrire in termini di formazione, inserimento, miglioramento delle capacità individuali e della qualità del lavoro. A cosa saremo disposti a rinunciare in termini di soddisfazione autoreferenziale, di prosopopea, di “superiorità” spicciola troppo spesso frutto di vendetta verso chi, quando eravamo noi ad avere ventitré anni, ci ha trattato come qualcuno fa ora con Benedetta. “È una ruota che gira”, rispondono quelli che non si chiedono il perché di tanta rabbia verso i giovani, di tanto risentimento e di tanta necessità di rivendicare la propria “esperienza”. Benedetta mi ha fatto riflettere sul fatto che è urgente più di quanto sembri formare davvero i giovani, non riempiendoli di corsi inutili che garantiscano solo i crediti necessari ad ottenere lo sgravio dei contributi per gli apprendisti, il contributo dell’INPS per Garanzia Giovani, ottenendo solo uno stagista gratis o un tirocinante sottopagato che ci facciano fotocopie e caffè senza sapere perché. Se noi per primi non riusciamo a comprendere che è fondamentale, per una società sana e Civile, insegnare davvero ai giovani il nostro lavoro, non potremo pretendere che lo comprendano loro. E Benedetta continuerà a pensare di essere fastidiosa o presuntuosa, senza mai scoprire di essere, invece, il Futuro.