
Un problema o un’opportunità?
Il caso di Palazzo dei Diamanti a Ferrara
A poche ore dalla scadenza dei termini del silenzio-assenso da parte del Mibac – Ministero per i beni e le attività culturali – per il via al progetto di restauro e di piccola addizione nel giardino del palazzo dei Diamanti a Ferrara, un dettagliato parere del direttore generale Gino Famiglietti ha bloccato la messa in opera del progetto, vincitore di una competizione internazionale bandita nel 2017.
La decisione del Ministero arriva dopo una settimana in cui la polemica, già strisciante da alcuni mesi, si è accesa sul web e sulla stampa.
Vittorio Sgarbi ha lanciato un appello per la bocciatura del progetto, in nome della conservazione del monumento nel suo stato odierno.
A questo appello è seguita una petizione da parte degli architetti del gruppo Labics, vincitore del bando pubblico, che ribadisce il totale rispetto della preesistenza, in questo caso il meraviglioso palazzo tardo quattrocentesco progettato da Biagio Rossetti e caratterizzato da una facciata a bugnato spigoloso con elementi aggettanti simili all’intaglio di preziosi diamanti.
Adeguare il palazzo, si o no?
Ma in cosa consiste l’aggiunta del corpo da costruire nel giardino?
Si tratta di una struttura trasparente, completamente reversibile e smontabile, volta a sostituire la pensilina da cantiere attualmente in uso, che consente ai visitatori il passaggio da una sezione all’altra del percorso espositivo.
E qui si arriva alla motivazione, o per lo meno a una delle motivazioni che hanno suscitato nel Comune di Ferrara l’esigenza di rinnovare la struttura di accoglienza nel palazzo.
La Fondazione Ferrara Arte organizza infatti da decenni mostre di elevata qualità e di risonanza internazionale, apprezzate da un pubblico sempre più numeroso (e costretto a transitare sotto la pensilina provvisoria).
Nello stesso palazzo si trova la Pinacoteca Nazionale, che potrebbe usufruire degli stessi spazi di snodo e di accoglienza previsti dal progetto Labics.
Unica buona notizia di queste settimane di polemica e di incomprensioni, concluse da un veto che getta un grande sconforto sulla possibilità, da parte delle amministrazioni, di operare per il miglioramento e la nuova funzionalità degli edifici storici, è il numero di cittadini direttamente coinvolti nella querelle.
Quasi ventimila firme sui due fronti opposti, numeri che indicano quanto le battaglie culturali, anche così specifiche, rivestano un interesse pubblico.
Quello italiano è ovviamente un caso unico nel panorama culturale mondiale.
Ma non ci si deve limitare a considerare, come nel caso in questione, soltanto la fruibilità da parte del pubblico dei nostri musei che, come è noto, sono per la maggior parte ospitati in palazzi storici e quindi soggetti alle tutele e ai vincoli posti dal Ministero per la loro corretta conservazione.
Infatti lo stesso problema potrebbe riproporsi anche per uffici comunali, municipi e tribunali che molto spesso, soprattutto nei centri minori, hanno le loro sedi in palazzi antichi che necessariamente devono accogliere il pubblico per il normale svolgimento delle attività lavorative.
La questione appare quindi complessa e da valutare caso per caso.
Cosa vuol dire adeguare
Adeguare non vuol dire inevitabilmente stravolgere un palazzo o un centro storico, ma anzi farlo vivere nella quotidianità e, come nel caso di un museo, valorizzare la vita culturale di una città favorendo attività turistiche e commerciali legate allo sviluppo di un territorio, quello italiano, così fortemente caratterizzato dalla sua continuità con il passato.
Il patrimonio artistico italiano è infatti un insieme costituito da opere d’arte, chiese, palazzi, musei e centri storici in cui ci muoviamo costantemente.
Questo patrimonio, attraverso la conoscenza, lo studio e la corretta conservazione diventa parte, oltre che di un’esperienza quotidiana e di una gestione senza sosta, anche di una memoria più ampiamente condivisa e proiettata nel futuro.