
I robot porteranno alla perdita di posti di lavoro?
Nell’era di approccio all’automatizzazione e ai robot, gira ancora voce che tutte queste macchine ci faranno licenziare tutti: eppure, stando ad uno studio di Ubs, i dati di fine dicembre 2018 mostrano che la disoccupazione mondiale è scesa al 5,2 % dall’8% del 2010. È il livello più basso degli ultimi 40 anni. Naturalmente va tutto analizzato da diversi punti di vista: la situazione italiana per esempio mostra ancora una disoccupazione di 2 punti percentuali più alta rispetto al periodo precedente alla crisi. In linea generale però, questi dati possono farci concludere che l’innovazione tecnologica e l’occupazione lavorativa possano convivere eccome. Il prossimo ventennio vedrà l’aumento dei robot, soprattutto nei paesi più moderni nella tecnologia. Ma esistono delle professioni che non si sostituiranno facilmente nemmeno con l’arrivo dell’intelligenza artificiale, perché richiedono una cosa molto importante: la deduzione umana. La realtà sembra, stando anche a quanto sostiene il CEO di Upwork, essere positiva:
robot e intelligenza artificiale non stanno eliminando dei lavori, bensì creandone di molti nuovi.
Come adattarsi al cambiamento?
Il problema è un altro: bisogna adattarsi al cambiamento che è in atto ad una velocità mai vista prima. Ogni giorno c’è bisogno di una figura nuova appena inventata, ma mancano le competenze adeguate a questi nuovi lavori, che saranno probabilmente a distanza, indipendenti, con possibilità di libertà di movimento e di orari, una vera e propria “forza lavoro mobile”. Tutto ciò potrebbe facilmente, e in parte già lo fa tutt’ora, creare difficoltà emotive e psicologiche ad una popolazione come quella italiana, difficilmente avvezza al cambiamento. Un lavoro senza fissa sede o fisso orario richiede una stabilità emotiva, una sicurezza personale ed una conoscenza di sé che poche persone hanno, non per colpa propria ma per motivi culturali. La tecnologia sta portando innumerevoli cambiamenti ogni secondo, ed è ormai una necessità quella di imparare nuove competenze in maniera autonoma, e continuare probabilmente a farlo per tutta la vita.
Il cambiamento che parte dalla scuola
È basilare l’intervento dello stato, soprattutto nel mondo della scuola: i dati italiani sul poco match tra le competenze ricercate dalle aziende e le competenze offerte dai lavoratori sono impressionanti. Si cercano molti lavoratori tecnici nella meccanica, nella chimica, nell’alimentare e nell’ict. Si cercano dunque molti periti e laureati tecnico-scientifici, tuttavia l’attuale mondo accademico non è in grado di prepararli pienamente. Ma è davvero soltanto colpa dello Stato? Sicuramente l’Italia è molto arretrata, tuttavia i ragazzi continuano spesso a scegliere il proprio corso di studi senza valutare la domanda del mondo del lavoro nel 2019: un mondo che continua a cambiare costantemente e che ci porta sempre più nel tecnologico-scientifico di ogni settore.
Il cambiamento che parte da noi stessi
Ma non si può soltanto dare la colpa al paese, perché dobbiamo noi stessi portare avanti una rivoluzione culturale del lavoro, con un necessario cambio di struttura mentale, per essere flessibili, veloci e continuamente dietro alle esigenze del mercato.
Questo richiede un costante aggiornamento tecnico personale, al di fuori degli studi universitari, ma anche un forte lavoro su se stessi dal punto di vista emotivo: ci vuole molta stabilità. Non è facile per chi è già maturo, uscire dagli schemi sicuri di come funzionava il mondo fino a pochi anni fa, ma è necessario per la sopravvivenza lavorativa, e in parte anche emotiva.
Il ruolo della formazione continua
Bisogna uscire da quel modo di pensare che vede importanza soltanto nel titolo di studio, nell’università di provenienza e nell’apparenza delle cose. Tutto questo viene ancora richiesto, non si nasconde, ma è in atto un processo di cambiamento che vede le singole reali competenze molto più importanti del titolo in sé. Dato che l’istruzione formale si ferma ad una certa età, mentre il progresso non fa altrettanto, è importante continuare a formarsi da sé, indagando su quanto viene richiesto e rimanendo sempre aggiornati, perché ormai al momento del colloquio bisogna saper mettere sul tavolo tante competenze di realtà pratica (hard skills) e di realtà personale (soft skills). Il titolo non basta più, perché ormai il titolo ce l’abbiamo un po’ tutti. Una capacità che conterà molto sul tavolo di colloquio è quella di sapersi continuare a formare negli anni a venire: alcune stime prevedono che i giovani cambieranno lavoro circa ogni 4,2 anni. Questo prevede una formazione permanente per rimanere al passo con il mondo del lavoro.