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La quota 100 crea posti di lavoro?

di Antonella Salvatore

La quota 100 crea un milione di posti di lavoro?

La nuova manovra economica prevede che un milione di persone andranno in pensione anticipata nei prossimi tre anni. Si tratta della cosiddetta quota 100, ossia minimo 62 anni di età e almeno 38 anni di lavoro. È vero allora, come dicono in tanti, che un milione di nuovi pensionati porterà altrettanti posti di lavoro? La quota 100 crea davvero un milione di posti di lavoro?

No, non è affatto vero che un milione di persone che vanno in pensione liberano un milione di posti di lavoro per i più giovani.

Vediamo perché.

Giovani ed anziani non sono intercambiabili

Si parla di lump of labor fallacy, per indicare la teoria secondo cui il mercato del lavoro ha un numero fisso e determinato di posti di lavoro.

Al contrario, il mercato del lavoro è flessibile, i posti di lavori si creano, si riducono e cessano di esistere.

Allo stesso modo, i lavoratori sono flessibili, nel senso che hanno caratteristiche diverse e sono adatti a lavori diversi. Una persona di 62 anni, con una determinata esperienza e determinate caratteristiche, non potrà essere sempre (e necessariamente) sostituita da una persona giovane, che ha tutt’altro livello di istruzione e tutt’altra esperienza. Anzi, diciamo pure che in rari casi una persona che sta per andare in pensione sarà sostituita da una persona giovane. Come mai? Perché quel lavoro, nel corso degli anni, ha assunto caratteristiche tali da richiedere necessariamente una persona con molti anni di esperienza. Oppure, col passare degli anni, quel lavoro non ha più senso di esistere. Mandando in pensione un lavoratore l’azienda potrebbe non avere bisogno di sostituire quel lavoratore; ad esempio, potrebbe semplicemente accorpare ruoli e mansioni.

Giovani ed anziani non sono intercambiabili. Semmai sono parti che si completano.

I costi, se un milione di persone va in pensionamento anticipato

Cosa accade mandando in pensione anticipata un milione di persone? Si crea un costo importante per il welfare, un costo che dovrà essere sostenuto dallo stato, quindi da tutti i cittadini. Prima o poi questo costo porterà lo Stato ad un aumento delle tasse, che ricadrà anche sulle aziende. In risposta, le aziende potrebbero evitare di assumere, allo scopo di contenere le proprie spese. Inoltre, un eccessivo costo delle pensioni porterà ad una riduzione di altre spese pubbliche, come ad esempio quelle della formazione. Per semplificare: costo alto per le pensioni, pochi soldi per innovazione ed istruzione, tasse per chi deve assumere. Per questo, è ragionevole credere che se un milione di persone va in pensionamento anticipato il paese potrebbe entrare di nuovo in recessione.

La perdita del collegamento tra le vecchie e le nuove generazioni

In un’epoca di flessibilità, tecnologie, innovazione, cambiamento, il pensionamento anticipato provocherà non solo un costo altissimo per la società ma anche una mancanza di collegamento tra le vecchie e le nuove generazioni. Con il pensionamento anticipato di un milione di persone in così poco tempo verranno a mancare esperienza, memoria storica e mentoring per i giovani.

Le vecchie generazioni possono dare alle nuove molto di più restando sul posto di lavoro che non andando in pensione.

L’assistenzialismo può condurre alla recessione

La convinzione che un milione di nuovi pensionati porteranno un milione di giovani ad entrare nel mondo del lavoro è una convinzione anacronistica e sbagliata.

Non siamo nel dopo-guerra, il mercato del lavoro italiano non è una catena di montaggio del 1960: vanno in pensione 50 operai e ne assumo 50 più giovani. Seppure un milione di persone in pensione anticipata potrà portare qualche posto di lavoro nei primi mesi, nel medio e lungo termine questa soluzione porterà l’Italia alla recessione. Ironia della sorte, saranno proprio i giovani a pagare il prezzo più alto di questo assistenzialismo.

OCL

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