
Intervista a Francesca Jacobone
D. Nel nostro paese più della metà delle donne non lavora, non solo perché mancano i lavori, ma anche per ragioni storicamente culturali. Quali consigli vuole dare alle giovani donne che si accingono ad entrare nel mondo del lavoro?
R.“Donne e uomini sono uguali. Questo è uno dei valori su cui si fonda l’Unione europea” hanno commentato il primo vice-presidente della commissione Frans Timmermans e le commissarie Marianne Thyssen e Vera Jourová “tuttavia, le donne lavorano ancora per due mesi all’anno senza essere pagate, se si confronta il loro reddito con quello dei colleghi. Non è una situazione che possiamo accettare a lungo”.
Il divario retributivo, ricorda la commissione, costringe le donne in situazioni di precarietà nel corso delle loro carriere, e anche dopo, con un gap di genere anche nelle pensioni. A determinare il gap, un mercato del lavoro che si regge su part-time femminili, soffitti di cristallo nelle carriere, e una divisione sociale dei ruoli che ancora affida alle donne tutto il peso della cura dei familiari.
Per sottolineare la necessità di un cambiamento la commissione ha pubblicato i nuovi dati di uno studio condotto dalla Fondazione Giacomo Brodolini sui paesi Ue, che confermano come il primo passo da fare è quello di puntare su leggi che agevolino la conciliazione tra vita e lavoro, permettendo ai padri di avere dei congedi parentali consistenti, obbligatori e retribuiti.
Queste sono leggi che aiutano, come aiutano le norme atte ad educare e formare le nuove generazioni e proprio a questo mi allaccio per dare un consiglio: bisogna partire dalla formazione, dall’educazione e dalla consapevolezza delle proprie capacità e possibilità; e poi combattere per una parità di trattamento sul posto di lavoro, senza aspettare di poter entrare nel mondo del lavoro in funzione di una legge sulla parità di genere, una legge che da sola non porta a nulla se le nuove generazioni non vengono educate fin da piccole a superare certi stereotipi uomo – donna. Ricordiamoci sempre che non è un problema di laurea, diploma, qualifica; nell’istruzione e formazione il divario di genere è a favore delle donne e a livello europeo a favore delle italiane: questo le giovani donne lo devono sapere fin da piccole ed
approcciare il mondo del lavoro con un atteggiamento paritario e vincente. Devono avere fiducia in se stesse, devono essere capaci di condividere idee, sfide, esperienze, insomma fare rete!
Dobbiamo poi confrontarci con un mercato che sta cambiando rapidamente, dove le aziende devono creare politiche sociali e benefici per soddisfare i millennials e le esigenze delle giovani donne. Altro consiglio che quindi darei alle giovani è prepararsi bene e offrire argomentazioni valide a supporto delle loro abilità nel superare determinate idee preconcette che alcuni datori di lavoro potrebbero ancora avere. Ultimo, ma non ultimo, consiglio: credere nei propri sogni.
Ho avuto solo successi? Certamente no! Ho provato anche l’amarezza della sconfitta ed il retrogusto spiacevole dell’incomprensione, dell’invidia e dell’ipocrisia di chi magari ti sostiene non certo per convinzione. E oggi, dopo avere tagliato il traguardo dei miei 64 anni, continuo a sognare.
Perché una vita senza sogni e senza ambizioni, non è vita.
D. Lei è la Presidente di Zetema, l’azienda capitolina che si occupa di cultura, oltre che professore presso la facoltà di Ingegneria dell’Università Sapienza di Roma. Quali sono le caratteristiche della sua leadership?
R. Allora due parole su Zetema e prima sul mio lavoro e sulla leadership.
Incominciamo con una esperienza avuta nel corso della mia carriera lavorativa; la cito solo per sottolineare che l’Italia non è il fanalino di coda, ma che i problemi sono simili ovunque.
A meno di 40 anni, in quanto vice presidente europea di una importante multinazionale americana, sono stata nominata “diversity manager“: allora erano considerati diversi i negri, gli handicappati e le donne, come categorie che dovevano essere tutelate. Ecco, non guardiamo agli altri sempre come un esempio: spesso non lo sono.
Veniamo invece alla leadership:
la leadership deve essere sempre coraggiosa. È importante che sia un’azione inclusiva ed è fondamentale condividere gli obiettivi, costituire un ambiente in cui le persone si sentano investite di fiducia, libere di essere creative, di formarsi, di lavorare in modo flessibile.
E questo vale per un leader sia esso uomo o donna. Ci sono poi dati importanti da ricordare: una ricerca di Accenture rileva che quando la posizione delle donne migliora, migliora anche quella degli uomini.
Da ultimo l’onore di essere il presidente di Zètema.
Zètema è un’azienda estremamente interessante non solo per l’importante lavoro che svolge ma anche per il numero di donne che spesso si trovano ai vertici dell’azienda. Senza dimenticare che le donne sono piu’ del 65% del personale.
Un presidente donna, un direttore generale donna: ci troviamo davanti ad un gruppo dirigente che stabilisce, condivide e misura apertamente gli obiettivi della parità di genere: un’azienda che ha la capacità di introdurre politiche e pratiche family-friendly: veramente un esempio da seguire e che forse dovremmo, come tale, far conoscere di più.
D. L’Italia è in fondo alle classifiche mondiali per numero di donne capo azienda. Alcuni suggerimenti per migliorare la nostra posizione?
R. Essere consapevoli delle proprie capacità, potenzialità e successi, e farli conoscere. Raccontare i successi che devono diventare un esempio: in Italia ne abbiamo molti ed in ambiti disciplinari diversi tra loro, perciò sarebbe il caso di smettere di parlare di donne relegate solo in certi ambiti e far capire che “conviene“ avere sempre più donne in ruoli di comando.
Come ha anche sintetizzato un’inchiesta dell’Espresso il cui titolo recita “Donna conviene; non è solo questione di giustizia sociale. Conviene perché aumentando l’occupazione femminile e le posizioni di potere gestite da donne, aumentano i guadagni delle imprese, il Pil, e le nascite”.
È noto ormai che le performance economiche delle aziende guidate dalle donne siano le migliori: un’analisi econometrica condotta lo scorso anno su circa 24 mila imprese indicava che, controllando una serie di caratteristiche relative all’azienda (settore di attività dell’impresa, dimensione, regione, struttura del Cda, dummy dimensionali, variabili anagrafiche del capo), la presenza di donne nel CdA riduceva il rischio di default dell’impresa. Anche i recenti dati sui fallimenti confermano come di fronte alla crisi, che ha generato una netta impennata delle insolvenze, le aziende con una presenza di donne nel CdA abbiano resistito meglio di quelle in cui il board era completamente maschile. Uno studio di McKinsey racconta cosa accadrebbe se le donne avessero gli stessi ruoli degli uomini: si creerebbe in un decennio la ricchezza di Cina e Usa messe insieme. I margini maggiori in India. Quattro le lacune da colmare: istruzione, inclusione finanziaria, tutele legali e retribuzione del “lavoro” in famiglia.
Le donne al potere devono poi essere un esempio per le nuove generazioni, dare consigli. Concluderei con una citazione di Camilleri comparsa in un’intervista su Huffington Post del 30 ottobre. “È arrivato il momento di cedere le armi alle donne. Hanno qualcosa in più”. Lo spiega bene questa bellissima fotografia.
