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Cercasi stagista con almeno 3 anni di…O del paradosso dell’esperienza

Andrea Bellezza

‘Cercasi stagista con almeno 3 anni di esperienza’. ‘Cerco un lavoro dove poter imparare’.

Chi di noi non si è mai ritrovato, dall’una o dall’altra parte, a vivere queste suggestioni o frustrazioni?

Suvvia ammettiamo lo sgomento provato da neo-laureati in cerca di uno stage, di fronte ad iperboliche richieste di competenze sì pratiche, ma purtroppo mai praticate. E la deliziosa aspettativa che da neo-manager abbiamo covato nella scelta dello stagista, che nella nostre beffarde fantasie avrebbe risolto tutti i nostri crucci operativi, col mero impegno di una telefonata giornaliera di aggiornamento, e perchè no magari mentre sorseggiamo un drink in una spiaggia soleggiata.

Sono solo alcune delle contraddittorie distorsioni in cui possiamo facilmente incappare navigando nel frastagliato e periglioso mercato del lavoro, vivendo giorno per giorno nelle aziende e nelle istituzioni.

Ora che siamo appassionati, competenti, innovativi, ebbene ora è arrivato il momento di diventare esperti.

Non è possibile, o perlomeno è molto raro, che uno stagista abbia competenze tali da sgravare chiunque dal sudato lavoro, così come è altrettanto remota la possibilità che qualcuno ci paghi e ci gratifichi solo per imparare.

La chiave per superare il paradosso è semplice. Ma non per questo banale. Spesso le soluzioni sono già presenti, sono le nostre credenze, le forme precostituite, i bias cognitivi, le affezioni, che non ci permettono di vederle chiaramente. La chiave del paradosso dell’esperienza è l’esperienza stessa. Che deve vivere come tempo e spazio di convergenza tra teoria e pratica, la cui distinzione deve rimanere tale solo in quanto funzionale alla nostra percezione e comprensione.

A partire da qualsiasi livello scolastico o professionale è bene iniziare o partecipare progetti e più in generale esperienze pratiche, e possibilmente reali. E se le agenzie educative non le offrono, beh allora troviamocele da soli.

L’annosa questione dell’esperienza, ancor più gravosa in un sistema-paese dove fino a 49 anni sei ancora troppo giovane, ma a 51 già vecchio…

Come posso praticare se non ho esperienza? E come faccio ad acquisire esperienza se non posso praticare? Se lo sguardo vergine è vessato da quello esperto come potrà mai innovare? E se quello esperto è impaurito dall’incalzare del nuovo come potrà mai tramandare?

Torniamo al confronto tra essere umano e conoscenza, ove teoria e pratica sono tutt’uno e saper essere, saper fare e saper condividere sono parte della stessa esperienza; ove a grande conoscenza corrisponde esemplare comportamento.

In fin dei conti acquisire conoscenza ed esperienza significa mettersi, sempre, in discussione. Presupporre una tradizione di conoscenza – knowledge base – da ereditare con gratitudine sacrale, e scorgere un orizzonte ampio in cui ognuno di noi, per quanto sapiente o potente, è solo piccola parte. Non a caso il percorso di conoscenza è, tradizionalmente, iniziazione al mistero.

Torniamo ai nostri saggi, e a quello su cui ci hanno ammonito: approcciarsi alla via della conoscenza significa ignorare ancora limiti, obiettivi, pericoli, e tantomeno gli effettivi risultati che si otterranno. L’afflato è debole, seppure entusiasta, ed il fine vago. Quello che incontriamo non è mai quello che ci aspettavamo. E sopraggiunge il grande nemico: la paura. ‘Ma nulla deve esser temuto, solo attraversato’. Così pur traboccanti di timore facciamo il passo successivo, ed un altro, e un altro ancora.

Superata la notte della paura sopraggiunge la lucidità. Che da conforto diventa subito terribile pericolo. La nostra comprensione è tersa, crediamo di padroneggiare ogni cosa appieno, perdiamo il trepidare e barattiamo la conoscenza con un ridondante autocompiacimento che, pur illudendoci di crescere, ci tiene ben saldi a girare su noi stessi.

Se riusciamo a superare la paura ed a non fermarci alla lucidità, acquisiamo il potere della conoscenza tanto anelato. Ed in un attimo ci ghermisce uno dei nemici più pericolosi: il potere. L’ebbrezza del potere ci stordisce, la consapevolezza della forza ci acceca. Decidiamo, regoliamo, giudichiamo. E lambendo in ogni attimo il delirio di onnipotenza finiamo per perdere di vista il fine che ci ha mosso sul cammino. A questo punto ci sentiamo liberi e invincibili, eppure è proprio qui che siamo accerchiati, diventando perfino cattivi e capricciosi.

Dobbiamo accettare che il potere che maneggiamo non è nostro, e che determina una immensa responsabilità.

E l’essere umano di conoscenza, che pure ha superato tutte queste prove, si troverà di fronte l’ultimo inesorabile nemico: la finitudine.

Se non si concentrerà sul fissare indelebilmente i propri meriti, bensì sul trasmettere il potere che ha avuto in dono, allora affronterà con presenza il proprio destino, in un solo attimo.

E quell’attimo basterà per tutta una vita. ‘Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte.

OCL

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