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Le università e la lotta ai fuori corso

Antonella Salvatore

L’argomento studenti universitari fuori corso è uno dei tanti problemi del sistema universitario italiano. Sono quasi 700mila gli studenti universitari fuori corso in Italia, si tratta del più alto numero in Europa; al tempo stesso, abbiamo anche il più basso numero di laureati nella unione, solo il 26,5% degli studenti arriva alla laurea mentre la media europea è del 39,9% (il piano europeo 2020 prevede che ciascuno stato della UE abbia almeno il 40% di laureati). Escludiamo da questa analisi i fuori corso lavoratori, quelli che faticano a studiare in quanto occupati a lavorare, ed includiamo invece i ritardatari cronici, quelli  che se la prendono comoda, quelli che studiano per uno o due esami all’anno. Le facoltà che presentano il maggior numero di fuori corso sono giurisprudenza, architettura, e quelle dell’area umanistico-letteraria. Al contrario, ci si laurea spesso nei tempi nelle facoltà tecnico-scientifiche, tra queste medicina. Altro dato, che forse non stupisce molto, è quello geografico.

Al sud, più che al nord, l’università è una sorta di parcheggio in cui i giovani restano per molti anni, probabilmente perché le aspettative di trovare un impiego sono basse, e quindi meglio gli studi che la disoccupazione.

Non possiamo non notare che da questo a diventare N.E.E.T. il passo è breve, sappiamo che coloro che non fanno nulla, (non studiano, non lavorano, non si danno da fare per cercare o creare lavoro) sono quasi 2 milioni nel nostro paese. La questione dei fuori corso è arrivata addirittura nelle aule di tribunale; genitori che rifiutano di dare soldi a figli trentenni fuori corso, figli che portano genitori in tribunale, cause perse, diverse le sentenze che danno ragione ai padri e non ai figli (la motivazione è sempre la stessa: se hai 30 anni hai il dovere di rimboccarti le maniche, studiare, lavorare, non citare in giudizio un genitore perché la paghetta non ti basta). Sono anche molte le università che corrono ai ripari per non avere schiere di fuori corso al proprio interno: tra le ultime, l’università di Firenze che offre un bonus di 500 euro a chi finisce il percorso entro i tempi stabiliti. Una parte dei fondi del ministero dell’istruzione alle università dipende dagli iscritti e potrebbero essere penalizzate le università che hanno il maggior numero di fuori corso; come conseguenza, gli atenei potrebbero essere spinti ad abbassare la qualità cioè a promuovere gli studenti più rapidamente e facilmente, pur di ridurre il numero dei fuori corso.

Insomma, guerra ai fuori corso da parte di ministero, università e famiglie.

Sicuramente il fenomeno fuori corso non è solo italiano, accade anche in altri paesi, ma da noi sembra un problema endemico; devono esserci varie ragioni che alimentano il fenomeno dei fuori corso. La prima ragione dell’alto numero di fuori-corso è da ricercarsi nei percorsi di studi. Molte materie non subiscono cambiamenti ed aggiornamenti, altre portano con difficoltà a sbocchi professionali e questa potrebbe essere una delle ragioni per cui lo studente si sente poco stimolato e studia con fatica. La seconda ragione sta nel metodo di studio: è dimostrato che gli studenti che affrontano materie interessanti, spiegate in modo interessante dai professori, studiano e superano brillantemente gli esami. Al contrario, se lo studente non è stimolato nell’apprendimento, se il professore (o l’assistente del professore, qualora il prof. avesse da fare altro), ha metodi obsoleti di insegnamento, parla più per se stesso che per gli altri, ecco che lo studente fatica ad apprendere e rimanda l’esame.

In molti casi lo studente non va in aula perché non percepisce valore aggiunto da parte del docente. Sono tantissimi gli studenti che non vanno a lezione ma studiano a casa, e poi vanno in facoltà solo per sostenere gli esami.

La terza ed ultima motivazione è culturale: una cultura protettiva, che non aiuta i propri figli a crescere, da noi si diventa grandi troppo tardi. In Europa il 28% dei ragazzi tra i 25 ed i 34 anni vive con i genitori mentre in Italia il 49% vive ancora in famiglia: questo non solo oggi, a causa della crisi o della disoccupazione, ma anche in epoca di piena espansione, è sempre stato così in Italia. I nostri ragazzi fanno stage ed esperienze lavorative più tardi rispetto ai colleghi europei e questo non solo per la mancanza di stage o lavori, ma anche per un eccesso di protezione da parte delle famiglie (era così anche ai tempi in cui l’economia era in espansione). L’attesa del posto fisso, lo stato che ti deve garantire, i genitori che ti devono mantenere, “prima studio e poi lavoro”, sono retaggi culturali che penalizzano innanzitutto gli stessi giovani, non rendendoli competitivi e portandoli spesso alla laurea con estremo ritardo rispetto al resto del mondo.

OCL

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