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Siamo il "fanalino di coda", ma nessuno spiega perché

Antonella Salvatore

Gli ultimi dati ISTAT, notizia di alcuni giorni fa, riportano che l’Italia è fanalino di coda in ambito formazione e cultura.

– La media italiana dei laureati è del  26,9% contro la media europea del 39,9% .

2 milioni tra i 15 ed i 29 anni non studiano e non lavorano, sono N.E.E.T. (Not in Education, Employment or Training).

– Abbiamo un alto tasso di abbandono scolastico: una media del 14% abbandona la scuola, con punte che superano il 18% al sud.

Un passaggio fondamentale del rapporto ISTAT sulla conoscenza riporta quanto segue:

“…Il nostro paese ha fondato una parte importante del suo benessere su produzioni con un contenuto di conoscenze specialistiche relativamente limitato, facilmente replicabile con costi minori altrove…”

In poche parole, la scarsa specializzazione, la conoscenza limitata, la mancanza di innovazione, ci portano un benessere che può essere facilmente minacciato; abbiamo competenze facilmente imitabili, replicabili altrove, magari in posti dove la manodopera costa meno.

Studiamo poco rispetto ai paesi piu competitivi, lavoriamo meno, spendiamo di più  e per questo siamo gli ultimi della classe, ci piaccia o no, questi sono i numeri impietosi.

Del fatto che in ambito istruzione e formazione siamo tra gli ultimi nell’area OCSE ha già parlato l’OCSE nel suo rapporto 2017 ed io stessa l’ho detto più volte.

Ora dobbiamo capire le ragioni.

Studiare “non serve a niente”.

Se molti giovani non hanno voglia di studiare la responsabilità è del sistema paese, di tutti noi.

Questo è il primo fallimento della società italiana: non siamo in grado di trasferire il valore della cultura e della formazione.

Come pretendere che un giovane, o un adolescente, capisca il valore dello studio se “studiare non serve a nulla”, se vanno avanti solo i furbetti”, se è sufficiente essere amico di, o pagare una mazzetta, per poter lavorare o (peggio), non lavorare ma avere soldi e potere?

La parola meritocrazia viene ripetuta continuamente come se fosse la scoperta del secolo, ma viene applicata raramente, e per questo si fa fatica a far capire ai giovani il valore dello studio e della cultura.

In aggiunta a questo, i giovani imitano gli esempi che vedono: negli ultimi anni tanti politici che hanno rappresentato il paese sono stati politici senza neppure una laurea triennale.

Passando gli anni, il livello di istruzione dei politici italiani è peggiorato invece di migliorare: questanalisi mostra che nel 2015, solo il 31% dei parlamentari italiani era in possesso di una laurea, contro il 51% degli inglesi, il 58% dei francesi ed il 65% dei tedeschi. Con gli anni i fatti non sembrano cambiati, questi gli ultimi dati.

Come si può pretendere che i giovani si laureino se per arrivare ai massimi vertici di responsabilità e di potere sono frequentemente scelte persone senza laurea?

Lo scarso valore dello studio in Italia.

Il valore dello studio in questo paese è basso, e laddove si parla di valore si parla sempre del valore di un titolo e raramente del valore dell’istruzione e della formazione in generale. Si tratta di un problema culturale.

Tanti ragazzi studiano per prendere un titolo, studiano per avere un bel voto: si dice ad un figlio di studiare per prendere un bel voto, meno spesso lo si incoraggia a studiare per poter creare una vita migliore, per se’ e per la comunità in cui vive, per dare valore alle generazioni future, per aiutare coloro che sono meno fortunati, e per molto altro ancora.

In aggiunta a questo, lo scarso valore dato allo studio emerge anche dal sistema pubblico del lavoro, dove ancora oggi si fa fatica a premiare per merito, si premiano i titoli e la seniority.

Non ultimo, investiamo mediamente il 4% del PIL in istruzione, contro la media europea del 4,9%; i primi della classe, come i tedeschi o gli scandinavi, investono tra il 6,5% e l’8%, quasi il doppio di noi (per questo sono i primi della classe).

I percorsi di laurea sono troppo teorici e distanti da quella che è la direzione del mondo professionale.

Il mondo viaggia velocemente, i percorsi di studi dovrebbero essere continuamente riformati, anche in collaborazione con le aziende ed il mondo professionale che ha il “polso della situazione”.

Gli studenti di molti atenei italiani imparano tomi e dispense a memoria, (la famosa regola “leggi e ripeti”) e nella pratica applicano molto poco, al punto da non essere in grado di concorrere adeguatamente con i loro colleghi europei. Ma basta dire colpa dei giovani. Tanti prima della laurea non lavorano e non hanno mai lavorato, non solo per la mancanza di posti di lavoro, ma anche per cultura (da noi prima si studia e poi si lavora) e perché molte università non sono collegate con il mondo aziendale (la stessa OCSE riporta che il nostro mondo accademico è distante dal mondo professionale).

Dato lo scarso valore che il paese attribuisce all’istruzione, molti ragazzi hanno la sensazione che la laurea serva a poco, che non prepari per il futuro, in molti casi la si prende per il titolo. Anche per questo abbiamo il più basso numero di laureati.

Nel 2017 è stato firmato il decreto per le cosiddette lauree professionalizzanti, che dovrebbero partire dall’autunno 2018: percorsi di laurea che prevedono il tirocinio ed un approccio di studio pratico.

Presto per dire come sarà, ma ricordiamoci che il mondo nord-europeo/anglosassone ha introdotto questo modello da tempo, e che da tempo all’estero i giovani fanno stage e tirocini anche a 16, 17 anni, non a 27.

La digital transformation che non c’è

Siamo al posto n.25 in Europa per la digital transformation. Nelle scuole il processo di digital transformation è avviato ma lontano dall’essere completato, molti professori delle scuole devono essere formati per poter formare.

Se non ci riguardasse direttamente, l’espressione “fanalino di coda” sarebbe quasi buffa, invece è grave, tanto grave, ma se ne parla poco.

Le navi con i migranti “che ci rubano il posto”, l’Alitalia “da salvare”, i mondiali di calcio e “anche la Croazia meritava di vincere”, sono sicuramente argomenti più interessanti, soprattutto in estate.

Allora, buona estate.

OCL

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