
Paolo Prisco
Eccoci: siamo gli italiani all’estero! Ogni sera siam tutti lì, attaccati alla parabola della TV o alle repliche in streaming: difficilmente ci perdiamo un telegiornale o un frammento di talk-show dall’Italia. Siamo un publico ottimista: abbiamo sempre la speranza di assistere finalmente ad una evoluzione positiva, una novità pragmatica nella scena politica ed economica del nostro paese. Speriamo di vedere o sentir qualcosa che ci renda orgogliosi. Finalmente si è risolto un problema, qualunque esso sia. Ed invece si assiste molto spesso al solito talk-show con partecipanti chiassosi e poco educati. Alla fine cambiamo canale perché è difficile seguire il filo con tutti quelle interruzioni. E riprendiamo così a vivere nel paese che ci ospita, contenti di non essere in Italia. Spegniamo la TV talvolta in fretta: gli amici locali potrebbero notare la teatralità inutile dei media italiani. Soprattutto colpisce l’impreparazione dei giornalisti: frasi interrotte, errori grammaticali, scarsa cultura generale.
Una parola in inglese sembra poi un ostacolo insormontabile, posto lì con cattiveria non dalla realtà di un mondo che si apre all’ esterno, ma da qualche nemico che si diverte a farci del male.
Ancora più interessante è poi l’abitudine del tutto italiana di parlare del normale come di qualcosa di eccezionale.
Si cita spesso, ad esempio, il diritto fondamentale al lavoro come di un diritto sancito nella Costituzione. Giustamente lo è. Ma pensiamo che sia così solo da noi? Crediamo forse che non sia protetto anche in altri paesi? Eppure lì non lo si invoca mai in questi termini. Ancora più interessante è se poi troviamo qualcosa che in Italia funziona bene. In questo caso ne parliamo come di una “eccellenza”. Ed ecco che un qualsiasi ospedale che ti cura bene, rappresenta una eccellenza. Un buon servizio reso ai cittadini è eccellente. Un ottimo centro ricerche è un’eccellenza del sistema italiano. All’estero si tratta invece di semplici cose che funzionano come dovrebbero. In TV o alla radio quasi ogni giorno poi ti capita di sentire che alla fine di un intervento o di una intervista ti augurino “buon lavoro”, e non semplicemente buona giornata, come si fa altrove. Se ci pensate, è una frase molto strana. Come se tutto ciò che facciamo nel contesto delle nostre attività lavorative fosse una cosa del tutto straordinaria. Ogni persona che svolge un compito, anche un normale dovere sociale (per cui molto spesso si è anche pagati) rappresenta un esempio eccezionale di integrità e di valore. Celebriamo così eroi che sono tali solo per una approssimazione in negativo. Perché son quelli emergono dalla massa, svolgendo una funzione utile al cospetto di tante difficoltà, ed al confronto con altri che mostrano invece un’etica professionale scarsa. D’accordo, è importante qualche volta celebrare il positivo. Ma non abituiamoci a considerare il positivo ogni volta come un fatto eccezionale. Nessuno, anche facendo un buon lavoro, si aspetta l’ eccezionalità.
Riabituiamoci ad esser normali, ed a considerare che fare il proprio lavoro, e farlo bene, sia normale.
Abbiamo mai pensato di capovolgere la prospettiva provando ad indignarci con fermezza con chi non fa ciò che è dovuto?
Al contrario, noi invece spesso accettiamo con rassegnazione e magari anche con un pò di ammirazione chi è più abile a sottrarsi ai suoi doveri. Una mentalità che a noi può forse sembrare benevolmente tollerante ma che all’ estero è considerata perdente su tutti i campi. Dovremmo indignarci forse un pò più spesso, isolando socialmente la furbizia ed il pressappochismo, ed evidenziando l’importanza di un senso civico che molto spesso ci vergogniamo quasi di esporre. Il buon lavoro è la professionalità che ci siamo costruiti, mattone dopo mattone, con sacrifici nel tempo, e costituisce un patrimonio personale di crescita.
Lavorare significa lavorare bene.
Lavorare male non è lavoro.
La prossima volta che incontriamo qualcuno auguriamogli una buona giornata: sarà un augurio migliore per questa persona e per la sua famiglia. E la aiuterà ad impegnarsi mettendo in campo con serietà la professionalità che noi tutti da lei o da lui ci aspettiamo.
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