
Antonella Salvatore
Ieri ho ritirato il Premio Adriano Olivetti ricevuto dall’AIF, Associazione Italiana Formatori, ed ho avuto il privilegio di essere uno dei relatori della tavola rotonda dedicata all’argomento “Il fattore umano nella formazione“.
La domanda che inquieta tutti, in ogni ambito lavorativo, e quindi anche nella formazione, è se mai le macchine prenderanno il posto degli uomini, e se il fattore umano continuerà ad essere importante.
Il formatore conta ancora? E conterà in futuro?
La mia risposta è si, si e fortemente si, ora più che mai.
Perché se è vero che le macchine possono elaborare tutto più velocemente degli uomini, se è anche vero che le macchine possono trasferire conoscenza tecnica e quindi hard skills (o capacità tecniche) è altrettanto vero che le macchine non possono formare le soft skills (o competenze comportamentali o trasversali) così come è vero che le macchine non possono avere una intelligenza emotiva dato che non hanno emozioni, e quindi non possono comprendere o gestire quello che non hanno.
Il fattore umano nell’epoca delle macchine è più che mai fondamentale per far emergere l’unicità degli individui, per lavorare sulle soft skills dei discenti e per aiutare anche i più giovani nella costruzione di queste skills.
Il formatore ha l’intelligenza emotiva che le macchine non hanno e non avranno mai: la capacità di comprendere gli altri, la capacità di leggere tra le righe, di suscitare emozioni, di coinvolgere, di fare squadra, di far sentire qualcuno parte di qualcosa.
Il formatore, può essere modello ed esempio da seguire; colui che non solo trasferisce il sapere, ma anche il saper essere.
A distanza di anni, coloro che sono stati bravi formatori, sono ricordati dai discenti non tanto per quello che hanno insegnato (conoscenza tecnica), ma per come lo hanno fatto e per quei meccanismi che sono stati poi capaci di attivare in chi era con loro per imparare.
Il bravo formatore non è colui che “mette” il sapere dentro le teste; al contrario, il bravo formatore è colui che sa “tirare fuori” dalle teste il sapere, unitamente al saper essere.
Il fattore umano diventa quindi il fattore chiave sul quale puntare per gli anni a venire.
Perché solo così gli uomini domineranno le macchine e non saranno vittime di esse e di quel processo che spaventa sempre più e che va sotto il nome, comprensivo di tutto e di niente, di digitalizzazione.