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Gli anni di lavoro diventano laurea

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di Giosuè Prezioso

Seppur nelle incertezze e pendenti inettitudini, dal 13 settembre le scuole italiane sono ripartite con un capitale studentesco complessivo di oltre 7 milioni e mezzo di unità. A questo, vanno a sommarsi quasi un milione e settecentomila studenti universitari. Una macchina imponente, complessa e sensibile, che si avvia nonostante i timori. E a partire per l’avventura accademica, durante il COVID, sono stati in tanti contrariamente a quanto pronosticabile.

L’istruzione, un’industria che continua a crescere

Infatti, l’industria dell’istruzione nel paese cresce. Lo fa ininterrottamente da sette anni, con un interessante picco del 4,4% nel 2020 – fra lezioni da remoto, sedute di laurea festeggiate in camera e presenze a rotazione. A comporre questa promettente fetta di speranza è un segmento meno noto, a volte sconosciuto e tuttavia crescente, che è composto dagli ‘studenti senior,’ candidati che ritornano agli studi in età definita “matura”. Un segmento di 30, 40, 50 e persino 88 anni, come Leonardo Altobelli, lo “studente più anziano del mondo” – e che, negli ultimi 15 anni, ha contribuito al rafforzamento educativo del paese. In altri stati la cultura della ‘Continuing Education,’ (Educazione Continua) o ‘lifelong learning’ (Apprendimento Permanente o Continuo) è realtà consolidata e radicata da decenni – non solo nella stessa accademia, ma anche sul luogo di lavoro.

Il valore della formazione continua

In Italia, paese in cui sette studenti su dieci abbandonano gli studi prima della laurea, questo trend è dunque importante, simbolico e degno di attenzione, soprattutto per le molteplici forme che lo stesso va prendendo. Da qualche anno, infatti, questa categoria di studenti ha esteso la propria imprenditorialità accademica ed ottenuto un upgrade. Si tratta della conversione della propria esperienza lavorativa in crediti universitari (CFU). La pratica non è nuova, anzi. Il Decreto n. 509 del 1999 garantiva agli atenei la possibilità di riconoscere fino a 120 crediti derivanti da “conoscenze, competenze e abilità maturate in ambito lavorativo e professionale.” Considerato il quorum complessivo di CFU per il raggiungimento della laurea Triennale (180), questo meccanismo nobilitava l’esperienza lavorativa e professionale quasi al pari di quella accademica, coprendo fino a 2/3 dell’intera esperienza triennale. Tuttavia, sin dal 2006, questa pratica riceve un arresto. In primis, lallora Ministro Fabio Mussi abbassa i crediti assegnabili da 120 a 60, per poi passare a 30. E infine a 12 crediti, con l’articolo 14 della legge 240 del 2010, firmata dall’allora ministra, Mariastella Gelmini. In circa dieci anni, dunque, si è passati da 120 a 12 crediti validabili. 

Validare l’esperienza, ecco come gli anni di lavoro diventano laurea

Nonostante l’opinabile manovra, in Europa coesistono però realtà tanto idiosincratiche, quanto complementari. Diversi istituti e agenzie private, infatti, si appellano alla convenzione di Lisbona per tenere in vita lo stesso principio di conversione ‘esperienza lavorativa = crediti accademici,’ che tecnicamente si identifica con l’acronimo VAE: Validazione dell’Esperienza Acquisita. Considerato il fermo delle università pubbliche – messe alle strette dalla legge 240/2010 – a proliferare sono state le università telematiche, non solo straniere, ma anche italiane. In altri paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti, le operazioni di VAE vengono gestite indipendentemente dalle università. Queste, sulla base di politiche personali, validano ai candidati un numero variabile di crediti, e fino ai 2/3 dell’intero quorum necessario per conseguire il titolo. Con la coesistenza della legge 240 del 2010 e la convenzione di Lisbona, si sono dunque creati in Italia due sistemi antitetici e tuttavia complementari. La sfera pubblica che prevede una monopolizzazione dell’esperienza accademica – con risultati, come la rinuncia di sette studenti su dieci, poco concreti. E la sfera privata, che forte del ‘big brother’ europeo, sfrutta la convenzione di Lisbona e continua ad attirare studenti. Questa coesistenza crea degli scollamenti fra il pubblico e il privato, l’Italia e l’Europa, il mondo del lavoro e l’accademia. Inoltre, solleva discussioni di natura meritocratica, economica e culturale. In partenza per un nuovo anno scolastico/accademico, il sistema formazione Italia ha dunque sulla groppa un altro quesito.

Foto di Clem Onojeghuo su Unsplash

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