Italiani e lingua inglese

lingua inglese

di Giosuè Prezioso

Quante volte, se in gita, in tour o in un luogo straniero, abbiamo pronunciato la proverbiale frase: “I’m Italian, speak slow(ly)!” – letteralmente, ‘sono italiano, parla piano, lentamente.’ Ci sono molti luoghi comuni sull’inadeguatezza che molti italiani vivono quando si apprestano a parlare una lingua straniera. Fra questi, immancabilmente svetta l’inglese, la lingua franca. Questi stereotipi sono diventati tali, che è ormai difficile distinguere il vero dal mitizzato. Cerchiamo dunque di rifarci a studi internazionali per capire come si destreggia l’Italia in materia di ‘English Proficiency’ (conoscenza dell’inglese). 

Al posto n.30 per conoscenza della lingua inglese

Secondo Education First, leader globale nell’insegnamento delle lingue, nel 2020 l’Italia si posizionava come 30esima nel mondo in termini di proficiency. Per fare un esempio, i vicini francesi si posizionano 28esimi. I Greci 21esimi, mentre l’Olanda, la Danimarca e la Finlandia ricoprono rispettivamente i primi tre posti del podio. La prima chiara conclusione, dunque, è che i paesi del Nord Europa ricoprono posizioni apicali in termini di conoscenza della lingua. Tuttavia, lo studio propone cinque livelli di conoscenza crescente. Molto basso, basso, moderato, alto e molto alto chiariscono il livello di dimestichezza media del paese. L’Italia rientra nel terzo, il moderato, e, nello stesso livello, si classifica come secondo – dopo la Malesia. 

L’impatto della lingua inglese sulla nostra vita

Considerando che l’indagine si basa su 100 paesi e regioni e un bacino di oltre 2.2 miliardi di persone, l’Italia, in 30esima posizione, non copre poi una posizione internazionalmente tanto modesta. Se però la lente si sposta sul continente, e i 34 paesi (geografici) che lo compongono, l’Italia si posiziona 25esima. Dunque un’immagine preoccupante di un paese dall’economia significativa per l’area – essendo la terza in Europa, ma tuttavia debole in termini di conoscenza della lingua (inglese). Come chiarito dallo studio, infatti, il livello di conoscenza dell’inglese ha effetti positivi ad ampio spettro – sociale, culturale, diplomatico, commerciale. Basti pensare, come illustrato dallo studio, che la differenza di salario fra uno speaker moderato (come un italiano) e uno molto avanzato (un olandese, per esempio) è di oltre 4 volte: 10,053 per il primo e 43,372 dollari per il secondo. 

Non va meglio per le nuove generazioni

In molti potrebbero sperare che le citatissime ‘future generazioni’ faranno meglio. Eppure le statistiche pubblicate dalla prestigiosa Cambridge Assessment English in riferimento agli esami di livello B2 – il più richiesto e competitivo a livello internazionale – non fanno sperare poi tanto bene. Innanzitutto, il tasso di candidati che non passano l’esame è fra i più alti del continente. L’1%, contro lo 0,5% della Polonia, lo 0,3% della Romania, o lo 0% della Slovenia, per esempio. Si registra poi che chi ce la fa, invece, raggiunge nel quasi il 50% dei casi solo una mediocre sufficienza. Negli altri stati, la famosa ‘C’ britannica rimane intorno al 37% (Polonia), 35% (Romania) o 22% (Slovenia). Dunque, per tirare le somme, l’Italia è globalmente un paese che si presenta come moderatamente pronto in termini di lingua inglese. Lo è meno se considerato dalla prospettiva europea, dove si classifica 30esima su 34 paesi. Purtroppo, nonostante le speranze, i giovani italiani passano con difficoltà gli esami di certificazione e, se lo fanno, raggiungono livelli modesti. Insomma, italiani e lingua inglese non sembrano andare d’accordo.

Italiano, inglese e altre lingue

Nonostante ciò, l’Italia ha un asso nella manica che potrebbe spiegare i trend. Uno studio dell’Eurostat, infatti, ha classificato l’Italia come primo paese in Europa per numero di lingue moderne studiate nella scuola dell’obbligo – seguita da Germania e Francia. L’Italia, infatti, vanta un unicum in materia di organizzazione scolastica secondaria. Siamo infatti fra i pochissimi paesi al mondo ad offrire scuole con indirizzi specializzati in aree come le lingue (Licei Linguistici). Sin dai 13 anni gli alunni possono studiare lingue come il Cinese, il Russo, l’Arabo e il Giapponese, rendendo dunque le nostre ‘future generazioni’ fra le più competitive in termini di polilinguismo non solo in Europa, ma nel mondo. Nonostante l’Italia soffra dunque di una carente preparazione generale nella lingua straniera per eccellenza (l’inglese), che ci si augura possa essere osservata e affrontata più efficientemente, il paese dimostra tuttavia avere anticorpi collaterali che lo rendono unico nel mondo per competitività nella preparazione di più lingue sin dall’adolescenza: ‘cos’è meglio?’ 

Foto di Daniel Schludi su Unsplash

OCL

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