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Il turismo che vogliamo

Turismo

di Antonella Salvatore

L’industria turistica è senza dubbio tra le più colpite dalla pandemia. Ma ora sembra ufficiale, l’Italia riapre ai turisti e dal 15 maggio non sarà più richiesta la quarantena ai viaggiatori provenienti dalla UE. Eppure in questi mesi la gran parte delle persone nel mondo non ha smesso di cercare destinazioni e di sognare di viaggiare. Il vaccino anti-covid ha innescato un meccanismo di speranza e ora può portare risultati concreti alla nostra economia. Ma prima che il mondo si rimetta in moto, e che i turisti tornino a riempire le nostre strade, dobbiamo pensare al turismo che vogliamo avere nel nostro paese. 

I problemi del turismo italiano pre-covid

Il coronavirus ci offre la grande occasione di fare destination management e di vendere (non svendere) il made in Italy e le bellezze del nostro patrimonio. Prima della pandemia nella città di Venezia passavano 30 milioni di visitatori l’anno. Pensiamo che neppure Roma ha mai raggiunto questi numeri: nel 2019 le statistiche mostravano 19,4 milioni di turisti nella capitale. Invece in Toscana, nello stesso anno, si registravano più di 48 milioni di pernottamenti. Un turismo florido quello pre-covid, ma con non pochi problemi. Il primo, la mancata gestione del turista, che spesso si è sentito padrone del nostro territorio e delle sue risorse. Il secondo, la nostra incapacità di valorizzare l’immenso patrimonio culturale che ci appartiene. Il terzo, la diṡonestà di vari operatori turistici e ristoratori che, negli anni, hanno infangato spesso la reputazione del Belpaese e degli addetti all’industria turistica. Ultimo, ma non ultimo, la mancata digitalizzazione. Prima della pandemia, dei quasi 5.000 siti museali in Italia, solo il 10% possedeva un catalogo digitale.

Il turismo che vogliamo dopo la pandemia

Per paura di perdere i viaggianti e per la voglia di guadagno facile abbiamo trasformato molti centri storici in luna park per turisti, i quali non sempre hanno saputo apprezzare la bellezza e la storia con cui venivano in contatto. Tuttavia, l’ignoranza del turismo di massa non parla solo lingue straniere: gli stessi italiani si sono dimostrati maleducati allorquando in vacanza in regioni diverse da quella d’origine. Abbiamo riempito le nostre strade di negozi di souvenir, marchi per turisti, ristoranti con menu finti e fast food. Siamo stati spesso incapaci di dare il giusto valore e il giusto prezzo al nostro patrimonio. Il Colosseo ha un costo del biglietto pari a 18 euro, che include non solo lo stesso Anfiteatro Flavio, il monumento più visitato al mondo, ma anche il Palatino e i fori Imperiali. 18 euro per ammirare la storia di Roma che è un po’ anche la storia del mondo. Per avere un termine di paragone, pensiamo che un biglietto per visitare il sito di Stonehenge costava 22 euro prima dell’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. Il nostro patrimonio culturale è immenso, un valore incalcolabile, e i ritrovamenti storici sono continui (ultimo quello dei nove uomini di Neanderthal ritrovati nel sito archeologico vicino al Circeo solo alcuni giorni fa). L’Italia possiede il numero più alto al mondo di siti Unesco, ben cinquantacinque. Il turismo che vogliamo, a differenza di quello precedente, dovrà avere l’obiettivo di valorizzare e proteggere il patrimonio italiano. Dovrà far emergere l’unicità e la bellezza del made in Italy, privilegiando attenzione al viaggiatore e qualità dei servizi. L’industria del turismo nel nostro paese può ripartire evitando gli errori del passato.

Foto di Antonella Salvatore

OCL

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