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Robot e occupazione

robot occupazione

di Andrea Bellezza

La robotica costituisce un giro d’affari a molti zeri, che cresce di anno in anno, guidato dalle nazioni tecnologicamente più avanzate. Tra queste USA, Cina, Giappone, Corea del Sud e Germania. E se l’incremento, circa 10% annuo, rimane più o meno costante per le industrie pesanti – automotive, metalmeccanico, edilizia – nel mondo delle PMI impazza fin oltre il 60% all’anno, ciò in virtù dell’avvento dei cobot, i robot collaborativi che interagiscono con l’uomo. Un mercato frammentato, in rapida espansione, ricco di opportunità per i colossi multinazionali, ma anche per organizzazioni più piccole e singoli professionisti.

Il dibattito su robot e occupazione

Siamo alle solite. Da un lato chi è convinto che la quarta rivoluzione industriale ci porterà ulteriore crescita economica e benessere, attraverso un cambiamento che semplicemente crea nuove professioni. Dall’altro lato della barricata chi invece rincalza i rischi e le nefaste profezie, appellandosi ad un tratto apparentemente esclusivo di quest’ultima rivoluzione, ovvero la capacità incrementale di replicare e superare l’intelligenza umana. Dicendo in altre parole che le abilità umane necessarie al sistema economico saranno sempre più esigue.  

Lavori a rischio e ricchezza

Gli studi confermano che l’automazione colpisce inevitabilmente le professioni che hanno bassi livelli di competenza, così come di compenso. Secondo alcuni esperti, l’effetto potrebbe essere un’ulteriore concentrazione della ricchezza, 0,01% della popolazione, che concretizza quello che in letteratura viene definito superstar-biased technological change.

Previsioni, quantità e qualità 

Le proiezioni occupazionali hanno monopolizzato il dibattito, lasciando troppo poco spazio agli opportuni approfondimenti qualitativi, quindi ad indagare l’esito su persone, atteggiamenti e comportamenti organizzativi. Certamente prevedere è molto difficile, anche perché parliamo di tecnologie che ancora non sono completamente note. In ogni caso è un esercizio cui non si può rinunciare, ciò soprattutto al fine di disegnare adeguati piani di intervento e sviluppo che possano accordare i vari interessi. In questa direzione si muove chi tenta di identificare i nuovi lavori creati dalla quarta rivoluzione e le relative competenze da formare. Possiamo focalizzare quattro ambiti di intervento. Il primo, ingaggio – attività dove macchine e uomini collaborano. Il secondo, produzione – progettazione e realizzazione delle tecnologie e delle infrastrutture necessarie. A seguire, supervisione – attività di monitoraggio e manutenzione. Infine sviluppo, inteso anche come risposta al continuo cambiamento, ovvero le attività di raffinamento e riprogettazione dei sistemi. 

Connessioni

Altro elemento qualitativo di notevole interesse è l’approccio fortemente interdisciplinare, derivante dalla commistione tra robotica e intelligenza artificiale, con contributi che spaziano dalle neuroscienze, alla biologia, fino alla psicologia e alla linguistica. I lavoratori dovranno dunque essere specializzati, ma anche dotati di competenze trasversali. Tra questi il pensiero critico e un’attitudine entrepreneurial, per essere capaci di lavorare con efficienza in team multidisciplinari, governando progetti di elevata complessità. Interconnessioni tra differenti menti umane, ma anche artificiali. Fenomeno fondante di questo epocale cambiamento è la centralità dei sistemi Human – Cyber, quindi la vera e propria simbiosi tra uomo e automazione, con soluzioni che, più che sostituire competenze umane, le assistono e potenziano. Tali sistemi aumentano le abilità umane, migliorano le capacità di interazione con le macchine e sviluppano le esperienze percettive e cognitive degli esseri umani. Una visione adattiva dell’automazione, che punta all’equilibrio tra umano e artificiale, con l’obiettivo di massimizzare contemporaneamente la produttività e il benessere dei lavoratori. 

Cambiamento

Nuovi lavori, tecnologie e competenze implicano un ripensamento del sistema politico ed economico. Ma anche della classica modalità di distribuzione delle risorse, basata fino ad oggi sullo scambio tra prestazione e compenso. Lo shock derivante da questa trasformazione non è però casuale, bensì determinato dalle scelte di istituzioni, aziende e individui. Se l’economia evidentemente incoraggia e orienta lo sviluppo tecnologico verso la produttività, è la politica che deve esaltarne gli aspetti positivi contenendo al massimo i rischi. Con quali modelli di sviluppo ciò sia possibile non è ancora chiaro, ed è qui che diventa prezioso il contributo di ognuno di noi.     

Foto di Fitore F su Unsplash

OCL

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