
A causa della pandemia stiamo ripensando, ridisegnando e trasformando il mondo del lavoro. Purtroppo, per alcuni. Per fortuna, per altri. E tra questi alcuni e questi altri ci sono i giovani, forse un po’ troppo messi da parte.
I giovani, assenti dal dibattito sul lavoro
Le ragioni? Ovviamente la risposta che arriva dall’alto è “non hanno esperienza”. In Italia, dove a volte anche per iniziare un tirocinio vengono richiesti anni di esperienza, in un Paese dove l’istruzione viene messa in coda, in attesa, i ragazzi hanno bisogno di ascolto. Nella discussione tra i professionisti di oggi manca l’opinione di coloro che saranno i lavoratori di domani: una lacuna incolmabile. Da nord a sud è in corso un acceso dibattito sulle modalità di lavoro agile. E sono proprio i giovani, i nativi digitali, a comprendere meglio il concetto di lavoro smart, quello che riguarda autonomia e flessibilità e si discosta dal banale lavorare da casa, in remoto.
Cosa chiedono le nuove generazioni
I giovani chiedono questo: elasticità mentale, responsabilità, confronto intergenerazionale. Non vogliono affatto la chiusura degli uffici ma immaginano e progettano spazi nuovi, in cui la creatività, la condivisione e il benessere personale vengano messi, concretamente, al centro. Nonostante i disagi economici e sanitari senza precedenti causati dalla pandemia, i millennials e la generazione Z esprimono determinazione e visione per costruire un futuro migliore, tanto che Deloitte li definisce “generazioni resilienti”. Resilienti, e non fragili, impreparati, vulnerabili. Il Covid-19 ha rafforzato nei giovani il desiderio di contribuire a guidare un cambiamento positivo nella società.
Parola d’ordine, sostenibilità
Le nuove generazioni sollecitano aziende e governi a fare lo stesso, mettendo veramente le persone al centro e dando priorità alla sostenibilità. La metà dei giovani intervistati da Deloitte vuole diminuire il livello di ansia presente nella società. Una buona parte afferma che proteggerà e supporterà più attivamente le aziende, in particolare i venditori locali più piccoli, a patto che questi rispettino i loro valori, in primis la tutela ambientale, il rispetto dalla diversità e l’inclusione. Anche OneDay, attraverso l’osservatorio “Smart Working: il punto di vista di GenZ eMillennials”, ha reso noto che ben il 70% dei giovani ritiene fondamentale godere di autonomia e di orari flessibili.
Un lavoro a misura di giovani
Il lavoro del futuro, poiché specchio delle esigenze dei futuri smart workers, metterà al centro la cultura, quale collante per ogni azienda, l’intelligenza emotiva, valorizzando i sentimenti e le caratteristiche personali, e la fiducia,sostituendo il controllo con forme di supporto e motivazione. Solo coinvolgendo i giovani nel cambiamento si può dar vita ad una nuova normalità, in cui non importa da dove ma come si lavora. Inoltre, tutto questo sarà caratterizzato da elasticità mentale e strutturale e da dinamicità. Non basterà più entrare nel mondo del lavoro, ma bisognerà agire quotidianamente per creare valore nella propria professione, comprendere il cambiamento e migliorarlo. I giovani vogliono una realtà accelerata, che includa senza alcuna distinzione il binomio che definiamo, erroneamente, reale-virtuale. Si lavorerà in luoghi sempre meno fisici, meno tangibili, andando oltre ad ogni confine geografico, linguistico e culturale.
La ricerca del benessere fisico e mentale
Guarderemo al nostro benessere psico-fisico, perché abbiamo compreso come la salute sia di primaria importanza. Preferiremo la gentilezza, che stiamo cominciando a considerare una risorsa strategica. Gentilezza (dal latino “gentilis”, che significa “appartenente alla stessa gens”, ovvero “della stessa stirpe, parente”), intesa come appartenenza, accoglienza e assenza di giudizio. Vi sarà work-life balance, o forse si supererà anche questo rigido binomio, per un concetto globale e inclusivo di vita. I ragazzi immaginano così il nuovo mondo del lavoro: clima positivo, ambiente inclusivo, atteggiamenti amichevole e premurosi, rapporti di fiducia e collaborazione. Meglio di chiunque altro i giovani hanno compreso che l’automazione non va temuta ma governata e apprezzata, poiché creerà nuove competenze, permettendoci di cogliere le nuove opportunità.
Generazione Z e tecnologie
Nello studio “The changing nature of work and skills in the digital age” emerge come ad essere più esposti al rischio automazione sono i lavori maggiormente routinari, basati su una scarsa interazione sociale. Nei prossimi anni aumenteranno le professioni legate all’intelligenza artificiale, ai big data e allo sviluppo di proposte tecnologiche. A livello generale, si può affermare che i giovani di oggi, con un livello medio di istruzione più alto rispetto alle generazioni passate, sono propensi a svolgere lavori che implicano un elevato utilizzo di abilità sociali e interpretative, unite a competenze tecnologiche. I giovani chiedono dunque possibilità e opportunità. Vogliono orientarsi, formarsi e crescere. Lifelong employability, lifelong learning. Loro lo hanno capito: l’unica costante del lavoro del futuro è il cambiamento, e le persone al centro di questo. Sul tavolo del Governo, nella redazione del piano per il Recovery Fund da presentare a Bruxelles entro ottobre, non possono mancare provvedimenti concreti in favore della prossima generazione. Abbiamo oggi l’occasione di costruire il lavoro di domani, non sprechiamola.
Foto di Anthony Intraversato su Unsplash