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Le città visibili

di Piero Angelo Orecchioni

Lo sa bene chi ci arrivò da ragazzo per gli studi universitari negli anni Ottanta, in seguito alla loro fama di città dove si narrava che le pietre fossero vive, capaci di parlare e respirare. In quegli anni erano l’ideale per chi voleva formarsi e alimentare le passioni respirando le fondamenta della storia, dell’arte e dell’architettura, così Napoli, Roma, come Firenze, Bologna, Venezia o Milano.

Le città, da belle e visibili, a luoghi sommersi

La bellezza non può che generare bellezza, era il sentire comune, con tutte le sue contraddizioni. Le città di mare, come quelle di terra unite o divise da ponti, si rivelarono allora vive e contemporanee, connesse fra loro in un completarsi e incontrarsi attraverso un proliferare di eventi, mostre d’arte, locali under ground e riviste dove il fumetto, l’arte, la moda e il design erano complici con continui rimandi fra loro. Non c’era la necessità che si dovessero vendere o mettere in mostra, i loro monumenti, le loro strade avevano forza e voglia ancora di parlare e ti catapultavano nell’immediato dai libri alla realtà. Le città avevano occhi e orecchie e i loro sensi erano vivi. Gli stranieri che venivano a visitarle amavano definire come “pittoresche” le abitudini e usanze locali, perché capaci di suscitare emozioni, interesse, curiosità. Nelle case del centro potevi ancora trovare residenti e studenti, i turisti stavano nei motel e negli alberghi con più o meno stelle. Chi arrivava da lontano per vederle, aveva brama e voglia di conoscere e si aggirava indistintamente per musei, gallerie di mostre d’arte contemporanea, basiliche, chiese, senza porsi alcun dubbio se tutto questo fosse o no autentico. Coloro che le abitavano e le animavano erano detti creativi, chiunque nessuno escluso, dal parrucchiere al macellaio e il termine non era dispregiativo ma anzi aveva un valore e un riconoscimento unanime, nel vero senso della parola, il loro ruolo era quello di raccontare, fungere da intermediari per le necessarie contaminazioni che avrebbero reso la città ancora più viva ed attuale. Costruite per essere abitate e vissute, erano talmente belle e attraenti che poi vennero trasformate in enormi centri commerciali e da belle e visibili diventarono completamente invisibili, sommerse all’improvviso da una massa di gente che sempre di più si riversava nelle loro strade e nelle loro chiese, tanto che le cattedrali si poterono visitare solo a pagamento e i campanili e le cupole diventarono vedette perfette da selfie per catturare un like. Talvolta un occhio non attento avrebbe fatto difficoltà a distinguerle dalle tante repliche in giro per il mondo.

Il ritorno alla gentilezza e alle immagini da cartolina

Ora che stiamo vivendo un momento in cui le città ci riportano indietro nel tempo, libere di tornare a rivelarsi in tutta la loro bellezza, assistiamo a un fenomeno molto interessante di un cuore che piano piano si rianima e riprende un sordo battito. Riscopriamo luoghi e spazi che credevamo di aver ormai ceduto a sguardi altrui e perduto per sempre, privati della loro magia. Difficilmente dimenticheremo. Quella che si presenta ora è un’occasione unica, dopo tanto tempo immagini da cartolina che ritornano a essere vive, meglio approfittarne prima che ce le strappino di nuovo dagli occhi. Mai torneranno a questo stato di civiltà e vivibilità. Potrebbe essere un’occasione più utile che rara visitare indisturbati musei, piazze, monumenti senza il vociare indistinto di comitive disattente e stordite da un accumulo di viaggi, appuntamenti e luoghi da collezionare e postare sui social. Riempie il cuore assistere che nei bar del centro, non più pressati dal dover produrre per il turista incurante, si ritorni a servire la qualità e la cortesia, anche a due signore fiorentine sedute in piazza Signoria. Cerchiamo di usare bene questo poco tempo che ancora ci rimane prima che si ritorni al sovraffollamento e al caos che tanto ora ci manca. La città è viva, respira ancora, ci mostra i suoi spazi assolati, come i vicoli e gli anfratti bui, si rende visibile e si dona in tutta la sua bellezza, rivendica il suo voler essere folcloristica, non omologata e imbellettata ad uso turistico. Quando i turisti torneranno a riempire le nostre strade, ad abitare le nostre case, accogliamoli facendo capire loro che qualcosa è cambiato, che le nostre città intendono mantenere la loro natura legata all’abitare, che non sono più disposte a prestarsi per un uso e consumo puramente commerciale.

Aiutiamo le nostre città a non nascondersi e a non provare più vergogna per il loro essere a volte ingenuamente pittoresche, nel segno di rispetto e convivenza reciproca, seppur temporanea.

Foto di Adriana Salvatore

OCL

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