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Quando l’Italia chiamò

Italia resistenza

di Antonella Salvatore

L’emergenza coronavirus mette tutti noi a dura prova e la quarantena che giustamente dobbiamo vivere ci offre un mondo nuovo che sembriamo scoprire per la prima volta. Il virus ci unisce tutti nella tragedia e nella disperazione: siamo sulla stessa barca e pienamente consapevoli di dover remare nella stessa direzione se vogliamo andare avanti.

La scoperta di una vita nuova

L’esperienza covid-19 ci fa riscoprire pezzi di vita a cui non eravamo più abituati. Se da una parte siamo sempre più dipendenti dalla tecnologia, che rappresenta l’unico mezzo di comunicazione per prevenire i contagi, dall’altra torniamo ad apprezzare il senso di appartenenza alla comunità e il rapporto umano. Famiglie che stanno insieme, genitori che fanno i compiti con i figli e vicini di casa che si salutano dai balconi, mentre fino a ieri neppure si conoscevano. Con tutta la drammaticità della situazione la sensazione oggi è che quella del governo sia stata una vera e propria chiamata alle armi. Un appello che implica resistenza, proprio come quella che dovettero fare i nostri nonni durante la seconda guerra mondiale. Certo, allora il nemico era facilmente riconoscibile. Ma sono bastati pochi giorni di #iorestoacasa e lo spirito di appartenenza, il senso di patria, che venivano fuori solitamente ogni quattro anni (ai mondiali di calcio) sono tornati più forti che mai nel cuore degli italiani. Ha commosso l’Italia e il mondo, e i video fanno il giro del web, vedere gli italiani alle finestre e sui balconi cantare l’inno nazionale. È come se il virus, che avrebbe dovuto mandarci in letargo per due settimane, avesse in realtà risvegliato le nostre coscienze e la nostra “italianità”. L’Italia c’è, diremmo in gergo calcistico: tra le prime economie del pianeta, il popolo del made in Italy, la capitale culturale e artistica del mondo ha preso coscienza della propria forza di nazione.

Abbiamo davvero imparato la lezione?

Una lezione, quella del virus, che ci avvicina a quel mondo esterno che abbiamo sempre guardato con diffidenza: la Cina. Un popolo che all’inizio di questa drammatica esperienza abbiamo discriminato e criticato; e che invece ha mostrato tutta la propria generosità, prestando esperienza e know-how all’Italia. Lo avevamo dimenticato: il covid-19 ci ha ricordato cosa vuol dire essere discriminati e ci ha dato una grande lezione di uguaglianza. L’ altro grande insegnamento, che speriamo di aver appreso, è che ci sono servizi che una nazione moderna e sviluppata non può mai tagliare. Ovviamente mi riferisco alla sanità, alla ricerca e all’istruzione. Il governo richiama ora i medici in pensione e si sbloccano le assunzioni mentre siamo nella peggiore emergenza dalla seconda guerra mondiale. E abbiamo permesso ai ricercatori di fuggire all’estero, si stimano 10mila in fuga solo tra il 2008 e il 2014. La produzione scientifica italiana cresce continuamente; tuttavia moltissimi ricercatori del nostro paese, vincitori di premi e bandi, non lavorano più da noi, quindi sono gli altri stati a usufruire di fondi e di know-how. Oggi applaudiamo medici e infermieri, ma fino a qualche settimana fa lo stesso personale sanitario subiva insulti e aggressioni nei centri di pronto soccorso; abbiamo capito cosa significa avere paura e temere per la propria vita. E la scuola digitale, inaugurata nel 2015, mai realmente partita, ci fa capire che le nostre scuole vanno avanti solo grazie alla instancabile forza degli insegnanti e dei dirigenti scolastici. La tecnologia è sempre rimasta un progetto per l’istruzione italiana: ora covid-19 rappresenta l’opportunità di entrare nel futuro per non restare indietro per sempre.

Il valore della nostra democrazia

Insomma, forse possiamo creare una Italia nuova, che resiste e si prepara a rinascere. Un popolo sempre pronto a criticare il paese, i suoi disservizi e la sua classe politica oggi sembra riscoprire la propria forza e il valore della propria democrazia. Proprio ora. Proprio adesso che la libertà individuale viene meno, comprendiamo cosa significa essere liberi: anteporre la salute dei cittadini a qualsiasi altro tipo di interesse e dare a tutti le stesse possibilità. Poteva andare diversamente: potevamo essere considerati pecore di un gregge e qualcuno avrebbe potuto dirci di prepararci a veder morire i nostri cari. Invece no, per fortuna non è andata così.

Foto di Sara Price da Pixabay

OCL

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