
Mercato del lavoro, gli stranieri sono un valore aggiunto
Il mercato del lavoro non evidenzia una competizione tra italiani e stranieri, semmai si registra una complementarietà dovuta alla mancanza di preparazione professionale di questi ultimi. Dobbiamo segnalare la difficoltà dei disoccupati italiani nell’accettare lavori divenuti di esclusiva competenza degli stranieri (colf, badante, bracciante agricolo, operaio non specializzato), una situazione che deriva dalle notevoli differenze in termini di qualifiche, aree territoriali, età media. Gli italiani sono più semplicemente alla ricerca di aspettative professionali diverse. Il ruolo della manodopera straniera è complementare a quella autoctona e pertanto funzionale all’economia italiana. La complementarietà diventa un volano per il mercato del lavoro e gli Stati europei intercettano la presenza degli stranieri agevolando gli inserimenti nella società, proprio per valorizzare le persone e collocarle nel ciclo produttivo.
Il mercato degli stranieri in Italia
A delineare la situazione del mercato del lavoro degli stranieri in Italia è la Ricerca elaborata dalla Fondazione Leone Moressa su dati Eurostat. «Ad un aumento – si legge nella Ricerca – della presenza straniera in Italia, negli ultimi quindici anni è incrementato il numero di occupati stranieri, passati da 965 mila del 2004 a 2,5 milioni del 2018. Consegue un ampliamento dell’incidenza sul totale degli occupati, passato da 4,3% a 10,6%. La crescita più intensa si è verificata fino al 2014, quando si è superata la quota del 10%, per stabilizzarsi negli ultimi anni a causa di diversi fattori. Tra questi, il calo degli ingressi di stranieri per lavoro, le acquisizioni di cittadinanza italiana, la ripresa dell’occupazione autoctona». C’è un’anomalia nel mercato del lavoro italiano. Il nostro Paese, a livello europeo, è uno dei pochi ad avere un tasso di occupazione più elevato tra gli stranieri anziché registrarlo tra gli italiani. Questa differenza è dovuta dalla nostra normativa perché vincola il permesso di soggiorno alla condizione lavorativa, costringendo gli immigrati ad accettare qualsiasi tipologia di lavoro.
La diminuzione demografica
L’Italia sta affrontando da diversi anni l’“inverno demografico”. Una fase di invecchiamento dovuta a diversi fattori: bassa natalità, elevata speranza di vita, aumento dell’emigrazione e diminuzione dell’immigrazione. «Le conseguenze di questo fenomeno – si legge nella Ricerca – si manifestano già oggi nel drastico calo della popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Tra gli italiani, questa componente è scesa da 36,8 milioni del 2004 a 34,7 milioni nel 2018. Gli stranieri hanno arginato questo fenomeno, mantenendo costante il volume complessivo oltre i 38 milioni».
La competizione produce effetti positivi all’economia
È interessante esaminare l’importanza della componente straniera dal punto di vista demografico perché riesce a frenare la drastica riduzione della popolazione. «Gli occupati italiani sono mediamente meno giovani – si legge nella Ricerca – ed hanno dei titoli di studio più elevati. Il 47% degli occupati italiani ha un diploma mentre la metà degli stranieri ha al massimo la licenza media. L’Istat evidenzia un peggioramento negli ultimi anni dei titoli di studi degli stranieri ed è la conseguenza che il nostro Paese attrae immigrazione meno qualificata. Dall’analisi dei settori economici emerge una crescita dell’occupazione straniera in particolare nel settore agricolo (18%) e nelle costruzioni (17%). Oltre un milione di stranieri occupati si colloca nelle “altre attività dei servizi”, inclusi i servizi collettivi e personali ovvero le attività maggiormente legate alla cura delle persone. Rispetto al 2017 la crescita della manodopera straniera si evidenzia in particolare nei settori dell’agricoltura e dell’industria mentre commercio, alberghi e ristoranti hanno registrato un deciso abbassamento. La crescita occupazionale italiana è dovuta all’industria e alle altre attività dei servizi. La complementarietà tra italiani e stranieri appare più evidente dall’analisi delle professioni. La maggior parte degli occupati stranieri svolge professioni non qualificate (33,3%). Al contrario, il 39% degli occupati italiani trova impiego nelle professioni qualificate e tecniche contro un 7,6%. Non è da sottovalutare che appena l’1,1% degli occupati stranieri è dirigente oppure quadro, a fronte del 7,7% degli italiani».
Il contributo al PIL italiano
Uno studio della Banca d’Italia stima il contributo dell’immigrazione alla crescita dell’economia italiana. «Si considerano tutti gli immigrati regolari – si legge nel documento – inseriti nel contesto economico italiano. Ovvero i quasi 2,5 milioni di occupati che equivalgono ai 10,6% dei lavoratori totali italiani. La ricchezza prodotta da questi lavoratori è stimabile in 139 miliardi di euro, il 9% della ricchezza nazionale. In termini assoluti, la maggior parte del PIL dell’immigrazione è prodotto nel settore dei servizi dove si registra la maggior parte di occupati stranieri (45,1%). Incide maggiormente nel settore degli alberghi e ristoranti (18,6%), nell’agricoltura (17,8%) e nelle costruzioni (17,6%)».
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