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Arte 4.0, la curatela digitale

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L’intervista a Gaia Tedone

di Giosuè Prezioso

Come in un nostro recente articolo (Arte e Intelligenza Artificiale), la relazione fra arte e tecnologia ha ispirato quello che da oltre un lustro è diventato fra i temi più dibattuti e studiati fra artisti, scienziati, aziende, fruitori e acquirenti d’arte. Dove porterà – e ci sta portando – questo matrimonio apparentemente agli antipodi fra arte, appunto, e tecnologia?
Fra le plurime forme che tale unione ha generato, una delle più interessanti – e tuttavia poco conosciute – è quella della curatela digitale. Un binario parallelo che vanta una storia quasi trentennale e che, se si vuole essere allineati e competitivi alle sfide che la stessa propone, è bene conoscere e fruire. A parlarcene è Gaia Tedone, ricercatrice del Center for the Study of the Networked Image della London South Bank University. Gaia ha fatto del tema, e della curatela in generale, la sua carriera, collaborando con istituti e centri di ricerca dal prestigio internazionale.

Cos’è la curatela online/digitale? Partiamo dall’unico riferimento più vicino alla stessa che è la curatela fisica dell’arte.

Partirei proprio con il dire che “curare online” comporta la volontà di mettere in discussione i canoni tradizionali della curatela artistica, lasciando che il contesto tecnologico ridefinisca quello che si intende per arte, artista e curatela. Se la nozione di mostra è (per me) vincolata allo spazio fisico e ad un’esperienza corporea, al qui e ora, lo spazio-tempo del Web è continuo. Un fertile terreno culturale popolato da immagini, software, agenti umani e meccanici. E’ con e attraverso essi che il curatore online crea – o meglio co-crea – nuove narrative estetiche e di significato.

Perché il mondo della curatela ha avuto la necessità di sperimentare con il digitale? Quando ha iniziato?

I primi esperimenti di curatela online sono stati portati avanti da artisti. I cosiddetti pionieri della “Net Art” – come la russa Olia Lialina – che a partire dai primi anni novanta hanno iniziato a sperimentate con le tecnologie del Web. L’idea era proprio di approcciare lo spazio online come zona franca. Una zona all’interno della quale si poteva operare al di là delle costrizioni fisiche dello spazio espositivo e rompere con gli schemi gerarchici del sistema e del mercato dell’arte, tra cui la distinzione tra artista-curatore-pubblico. Negli anni duemila è avvenuta la canonizzazione della “New Media Art” all’interno della storia dell’arte e della curatela contemporanea, ad opera di curatori e ricercatori come Steve Dietz, Beryl Graham & Sarah Cook, Christiane Paul e Domenico Quaranta.

Due aspetti che la curatela online ha, e due aspetti su cui bisogna ancora lavorare.

La curatela online è processuale e immateriale. È un metodo di ricerca e di investigazione che consente di aggregare immagini, dati, informazioni e di dar loro una nuova coerenza estetica e di significato. Tende però a rimare invisibile, a nascondersi in una nicchia per pochi, popolata non solo dai conoscitori dell’arte contemporanea più sperimentale, ma anche da chi nutre una viva curiosità per i processi tecnologici. A volte rischia di diventare troppo concettuale, autoreferenziale, perdendo in qualche modo quel motore propulsivo di rottura, ironia, denuncia, che la rende un’operazione collettiva e potenzialmente sovversiva.

Se volessimo curare online, quali step, software, programmi, subscription e toolbox dovremmo avere?

Nel ‘toolbox del curatore online’ non inserirei nessun software o programma in particolare. Inserirei piuttosto la capacità di osservare in modo critico e riflessivo le operazioni di ciascuno di essi, di interrogarsi sui valori – commerciali? culturali? – che sono iscritti negli algoritmi e che influenzano il modo in cui oggi interagiamo a livello sociale, culturale, economico e politico.

Credi che in Italia ci sia abbastanza formazione a riguardo?

Questo modo di intendere la curatela online come metodo di investigazione critica del presente sta affiorando solo adesso, anche all’estero, e in qualche modo risulta scomodo ai più. A curatori dell’arte contemporanea, ad alcuni curatori dei nuovi media che hanno lottato per vedersi riconosciuti da un sistema che li marginalizzava, e persino ad alcuni artisti che rimangono legati alla legittimazione da parte di un sistema sempre più elitista e contradditorio. In Italia ci sono diversi Master che inquadrano la produzione artistica e curatoriale anche in risposta alle trasformazioni digitali. Tra questi, quello dello IED e della NABA, o il programma di Media Design e Arti Multimediali di quest’ultima.

Chi saranno i curatori del futuro?

I curatori del futuro saranno figure agili, poliedriche, con forti capacità analitiche e sensibilità tecnica. Professionisti impegnati a ricercare e distillare conoscenza da questo flusso di contenuti che imbeve il nostro reale, che è la rete. Motivati dall’ambizione di apportare valore culturale laddove tutto sembra essere diventato puro commercio.

OCL

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