
Antonella Salvatore
Ad ottobre 2018 è stato dato il via alle cosiddette lauree professionalizzanti, 14 percorsi di laurea triennale di taglio pratico. Il decreto, predisposto dall’ex ministro dell’istruzione Stefania Giannini e firmato poi dal ministro successivo Valeria Fedeli, prevede lauree in vari ambiti, tra questi, ingegneria civile, ingegneria edile, gestione del territorio, agroalimentare, gestione della sicurezza, e coinvolge università di varie regioni.
Le lauree professionalizzanti sono percorsi di studi tecnici, che hanno l’obiettivo di dare ai giovani aule di taglio pratico, esperienza pratica in azienda, ed infatti uno dei tre anni dovrebbe essere svolto completamente in azienda. L’uso del condizionale è d’obbligo perché i 14 percorsi di laurea sono partiti in via sperimentale da un mese, gli studenti coinvolti sembrano essere circa 700 in tutta Italia, (non oltre 50 studenti per corso) e non si sa ancora molto degli accordi con le aziende e di come l’anno pratico di azienda dovrà essere svolto.
Sicuramente, chi ha pensato alle lauree professionalizzanti si è ispirato al modello nord-europeo, ad esempio alle note Fachhochschulen tedesche o alle Hogescholen olandesi, ossia Università di scienze applicate.
La Fachhochschule è una formazione universitaria preferita da circa il 25% dei giovani tedeschi: un percorso di studi che dura quattro anni, due dei quali da trascorrere in azienda, e gli altri due a studiare in aula. Un percorso tecnico soprattutto rivolto a chi studia ingegneria, chimica, tecnologia, e che viene aggiornato continuamente, allo scopo di innovare le competenze di cui le aziende hanno bisogno. Un percorso spesso valutato con le stesse aziende, proprio per fare in modo che ci sia corrispondenza tra le competenze ricercate dai datori di lavoro e quelle sviluppate dagli studenti.
Le Hogescholen olandesi propongono un percorso simile, quattro anni complessivi, tre dei quali in classe, uno in azienda.
Sia in Olanda che in Germania l’esperienza lavorativa è parte fondamentale del percorso di studi: se non si fa l’esperienza in azienda non ci si laurea.
Le lauree professionalizzanti diventeranno le nostre Fachhochschulen?
Intanto, il primo dubbio riguarda il rapporto università e mondo del lavoro: le università italiane saranno in grado di aiutare i giovani ad ottenere stage e lavori all’interno delle aziende?
Poi dobbiamo porci una domanda sulle lauree trazionali: se le lauree professionalizzanti sono state create con l’obiettivo di avviare i giovani al mondo del lavoro, di tutte le altre che ne facciamo e per che cosa sono state create? Il timore forse di molti, come fu all’epoca del 3+2 (triennale+magistrale) è questo: avremo lauree di serie A e lauree di serie B? Arriveranno i soliti accademici a dirci che le università devono solo fare ricerca e non occuparsi di lavoro?
Tanto per ritornare ai tedeschi, i titoli delle università di scienze applicate hanno lo stesso valore dei titoli delle università tradizionali: per i tedeschi, più pragmatici di noi, si tratta solo di scegliere cosa vuoi fare nella vita, di capire le attitudini e le predisposizioni dell’individuo, un percorso non è migliore o peggiore, sono solo percorsi diversi.
Ed infine, l’ultimo dubbio: la concorrenza con gli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori, che oggi collocano oltre l’80% degli studenti entro i 12 mesi dal diploma (ne abbiamo anche parlato a maggio nell’articolo sugli istituti di agraria).
Quali sono le reali differenze tra gli istituti secondari e le lauree professionalizzanti, e perché un giovane dovrebbe essere incoraggiato a proseguire gli studi?