Antonella Salvatore
Il tessuto economico del nostro paese è quasi interamente costituito da piccole e medie imprese. Pmi che portano l’italia nel mondo, pmi che hanno prodotti e servizi unici, pmi innovative e competitive; ma anche, e soprattutto, piccole e medie imprese che faticano ad andare avanti, schiacciate dalla tasse e dalla burocrazia, dal mondo che cambia e con il quale non riescono a stare al passo.
Molte aziende hanno solitamente una famiglia alle spalle ed impiegano membri della stessa famiglia; l’imprenditore lascia l’azienda nelle mani dei figli, ma questo non sempre significa lasciare l’azienda nelle mani di chi ha competenze più adatte per gestire il business.
Uno dei primi problemi delle nostre pmi è proprio la mancanza di managerialità e di skills che sono fondamentali per la crescita.
Da un punto di vista di occupazione femminile, il ruolo delle donne di famiglia risulta a volte marginale; il lavoro delle donne nelle imprese di famiglia è spesso un lavoro invisibile, molte volte non pagato, soprattutto al sud. Ci si aspetta che la donna “dia una mano”, ma non le si riconosce un ruolo né tantomeno un compenso adeguato, a meno che la stessa donna non sia il capo famiglia.
Ma la questione pmi non termina qui. La stessa espressione pmi, piccole e medie imprese, mette nello stesso calderone imprese che spesso sono molto diverse tra loro e che hanno caratteristiche e fabbisogni diversi. Appartiene al gruppo delle pmi l’azienda che ha 5 dipendenti così come quella che ne ha 200; ma anche se volessimo solo confrontare le piccole imprese, potremmo confrontare quelle con 5 dipendenti e quelle con 49 dipendenti…ma capiamo da soli che 5 dipendenti o 49 dipendenti non è solo una questione di numeri.
Le pmi di questo paese sono tante ma sono spesso sole; sole perché le imprese non fanno rete, sole perché non hanno molte occasioni per incontrarsi e confrontarsi, sole perché, in fondo, anche se questo è il paese delle pmi, come mai nessun governo si accorge che occorre agevolarle e non schiacciarle?
Ci sono alcune grandi sfide che oggi le pmi devono affrontare per poter sopravvivere e crescere. La prima, l’ho detto, riguarda l’adozione di managerialità e competenze che permettano di crescere e di non restare indietro rispetto all’innovazione. La seconda, la mancanza di occasioni per fare rete con altre imprese e per sfruttare sinergie, imparare le une dalle altre, darsi reciprocamente una mano. Le stesse fiere di settore spesso vedono vicine imprese che operano nello stesso campo, ma quante di queste imprese fanno poi squadra?
E’ molto più facile competere e tenersi a distanza che fare squadra.
Una naturale diffidenza che molti imprenditori e professionisti hanno gli uni nei confronti degli altri (la paura di essere “copiati”, la paura che qualcuno rubi l’idea..) che si aggiunge alla incapacità, più spesso semplice difficoltà, di comprendere nuovi fabbisogni e necessità.
E’ vero anche che molte imprese avvertono la necessità di cambiare e di innovare ma spesso non sanno come e non sanno da dove partire. Molti imprenditori sono coscienti del fatto di dover acquisire nuove competenze ma come? E quali competenze servono? E chi le possiede?
Pagare decine di migliaia di euro di consulenza per farsi consigliare su come innovare? Nessuna piccola o media impresa può permetterselo. Investire in comunicazione per far capire che si è sul mercato? Non è la soluzione. Prendere uno studente universitario a cui affidare la gestione dei social media per diventare più digitali?
Niente di tutto questo si avvicina neppure lontanamente al mettere concretamente in contatto fra loro le imprese, a creare occasioni ed incontri in cui le imprese possono scambiarsi idee e soluzioni, affrontare il proprio problema magari scoprendo che qualcun altro lo ha già avuto quel problema ed ha trovato il modo di risolverlo.
Per questo ho pensato che l’università, almeno quella in cui lavoro, potesse fare da ponte tra imprese ed imprese, potesse avere una funzione di facilitatore, collante, e diventasse, almeno per un giorno, luogo di networking, confronto, scambio e sperimentazione, un ambiente protetto all’interno del quale abbandonare quella diffidenza di cui parlavo prima per capire che solo il gioco di squadra potrà salvare le imprese dal fallimento e dalla mancanza di competitività che continuano ad avere.
Grazie ai colleghi per il lavoro fatto insieme e alle 120 imprese che hanno aderito a Sistema Pmi, lo scorso 14 settembre in John Cabot University: l’evento per imparare a fare squadra.
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