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Padroni del nostro destino

Antonella Salvatore

Tornata da un viaggio in America riporto con me due grandi lezioni.

La prima, viene da gruppi di ragazzini americani visti per strada con il cartello “we wash your car for free” (ti laviamo la macchina gratuitamente), ragazzini in attesa di possibili clienti da cui ricevere una mancia a fine lavaggio.

È l’America che insegna ai propri figli che non si può stare sempre senza fare nulla, neppure a 10-12 anni, ma si deve imparare a guadagnarsi una paghetta, ci si deve ingegnare per lavorare, si deve imparare a prendere l’iniziativa. Passeranno gli anni e gli stessi ragazzini, in estate, andranno a lavorare da McDonald’s o a fare un qualsiasi lavoro adatto alla loro età. Passeranno altri anni e quegli stessi ragazzi, con mesi di anticipo, pianificheranno quale stage fare durante l’università.

Se passi l’estate ad alzarti tardi e a farti mantenere dai genitori non diventerai mai adulto, sei uno che non otterrà mai molto dalla vita, questo è il messaggio che viene dato a questi ragazzi.

In questo modo i giovani americani, fin da piccoli, imparano a costruire il proprio cammino nel mondo, allenano le proprie competenze, tecniche e non, prendono decisioni e si assumono responsabilità.

È l’America che promuove l’iniziativa individuale, il decision-making, l’America che insegna ai propri figli ad essere “master of their destiny” (padroni del proprio destino), ad avere un atteggiamento entrepreneurial, a prendere il controllo della propria vita. Una cultura che insegna disciplina e pianificazione, attitudine long-term, un modello che allena i giovanissimi alle decisioni e a non sottrarsi alle responsabilità.

Un paese che ti insegna fin da piccolo che sei padrone del tuo destino, che le tue scelte, i tuoi fallimenti ed i tuoi successi dipendono da te e da nessun altro, che ti abitua alla assunzione di responsabilità è un paese che ti aiuta a diventare adulto e cittadino consapevole.

Nessun fatalismo, nessuna ricerca di colpe o responsabilità esterne, si diventa adulti solo se si impara a decidere e se ci si assume la responsabilità delle proprie azioni.

Hai lavorato, sudato, avuto successo? Merito tuo. Hai dormito, perso tempo, fallito? Responsabilità tua. Hai commesso un errore? Ne paghi le conseguenze, poi ti rialzi, ti dai da fare e vai avanti.

“Master of your destiny” significa avere consapevolezza, prendere decisioni e compiere azioni senza dare colpe allo Stato, alla famiglia, al politico di turno, ai raccomandati. “Master of your destiny” significa smetterla, una volta per tutte, di dare colpe agli altri.

La seconda lezione americana sta in quel cartello visto su ogni carrozza della metropolitana di Boston “United we stand” (Uniti siamo più forti, Uniti ce la facciamo).

Una frase che crea senso di appartenenza, che genera senso civico, che trovi addirittura in metropolitana con lo scopo di ricordare a tutti di “tenere gli occhi aperti”, di badare alla reciproca sicurezza, al bene della comunità, “res publica“.

La forza di un paese che, con tutte le sue contraddizioni, ha capito l’importanza di creare una nazione unita, di dare valore al senso di appartenenza e di orgoglio nei confronti del paese.

Il ritorno in Italia, in un momento di emergenza e di bisogno, è oltremodo traumatico.

In opposizione al concetto “master of your destiny” ritrovo l’approccio fatalistico nei confronti della vita, quello dello scarico di responsabilità, quello che fa riferimento alla fortuna o alla sfortuna, che contempla cause e colpe spesso esterne e più raramente interne.

È crollato un altro ponte e le accuse volano da una parte e dall’altra, mai nessuno che ci stupisca dicendo “mi assumo la responsabilità di questo”: colpa dei fondi UE, colpa dei governi vecchi, colpa del governo nuovo, colpa della pioggia, colpa del traffico di agosto, colpa della società che gestisce le autostrade, colpa di tutti e colpa di nessuno.

Una scena già vista per altre tragedie precedenti: si è messo in moto lo scarico di responsabilità, è colpa di tutti, quindi non è colpa di nessuno.

Lo “scaricabarile” è spesso l’anticamera dell’impunità.

Passo poi alla seconda lezione americana, che fa riferimento al concetto di unità. Pur essendo nella massima difficoltà, fatico a percepire unità mentre avverto divisione,  divisione negli interessi, nelle prospettive, nelle priorità. In risposta a United we stand, la lezione italiana pare essere divide et impera, propaganda, accuse, guerra via social.

OCL

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